Il 13 giugno di quattordici anni fa due referendum popolari si imposero all’attenzione della politica italiana: l’esclusione del nucleare dal territorio nazionale (ed era la seconda volta dopo quello del 1987) e la difesa dell’acqua pubblica come bene comune di tutti. Risultato, la privatizzazione di acquedotti e fonti di approvvigionamento è proseguita, il rilancio dell’energia nucleare è tornato al centro dell’iniziativa politica governativa, come se nulla fosse. Senza alcuna prova scientifica si ciancia di “nuovo nucleare” (nuovo in cosa?) «per inaugurare un’età dell’oro dell’energia pulita e abbondante: l’unico modo per proteggere i bilanci delle famiglie, riprendere il controllo della nostra energia e affrontare la crisi climatica», su cui l’Italia firma contratti con la Francia a Bruxelles senza averne mai discusso nelle sedi parlamentari. A nome di chi parla il ministro Pichetto Fratin? Oltre che dei consulenti che gli ha messo attorno la lobby nuclearista italiana mai domita dopo le ripetute e sonore sconfitte
◆ Il commento di MARIO AGOSTINELLI
► Mi colpisce come dallo schieramento governativo si assuma l’esito dei referendum svolti una settimana fa come una definitiva sconfitta dei quesiti posti ed una conferma della loro inattualità solo perché sancita non da un dibattito franco sui contenuti, ma dalla indebita pressione esercitata per disertare le urne. Una prova – quest’ultima – più di debolezza che di capacità di stare in un confronto in campo aperto che segni una strategia su lavoro e cittadinanza come la Cgil ha proposto in auspicabile discontinuità con tutta la politica per i prossimi anni. E che dire del tentativo di screditare lo strumento costituzionale di democrazia diretta, forse per avere mani libere sulle modifiche ai principi della nostra Carta? Più nello specifico e in relazione alle continue improvvide incursioni del ministro dell’Ambiente che ripropone l’atomo nella transizione energetica da qui al 2050, si vuole forse suffragare e giustificare un comportamento contrario al rispetto del voto popolare di un altro referendum, questa volta ampiamente accreditato dal raggiungimento del quorum: quello cioè del 2011 che ha ribadito l’esclusione del nucleare dal territorio nazionale?
Nel richiamo al nucleare bandito dal referendum, come giustificare l’assoluta mancanza di novità di rilievo riguardo al rischio di incidente dei reattori e allo smaltimento delle scorie radioattive, se non con una improvvida ed arrogante infrazione del risultato di un atto di democrazia diretta raggirato dalle deleghe ad un Esecutivo che non transita mai dal Parlamento? Una infrazione che si manifesta anche questa volta con decreti legge reiterati nel tempo che anticipano risoluzioni che sono allo stato attuale impugnabili di diritto. Come è possibile che Governo italiano e Industria francese siglino in questi giorni un accordo per il nucleare europeo in cui la Francia assume un ruolo guida nel rilancio del settore in Europa, in un contesto di rinnovato entusiasmo per l’energia atomica nell’Unione europea? (v. https://euractiv.it/section/capitali/news/governo-e-industria-francese-siglano-un-accordo-per-guidare-il-nucleare-europeo/ ). Dove sta il mandato? In questo accordo sottoscritto a Bruxelles la Francia, come Paese più nuclearizzato del continente, è alla testa di un’alleanza crescente di Stati membri dell’Ue, tra cui l’Italia, che promuovono il nucleare come “mezzo per decarbonizzare la produzione elettrica”. In quella sede il Governo ha annunciato l’intenzione di aderire all’alleanza nucleare in estensione avviando un iter legislativo per rilanciare la produzione nazionale.
Il nuovo contratto rappresenta una dichiarazione di intenti politica, assai impegnativa, secondo cui la potente industria nucleare francese dovrebbe svolgere un “ruolo guida” nei progetti di collaborazione europea, visti anche come opportunità per riempire il portafoglio ordini nazionali. Come giustificare sul piano giuridico che siano stati presi impegni perché: «sotto l’impulso della Francia, questo ecosistema europeo possa costituire un blocco unito e coerente, se i mercati globali lo richiedono» e come accettare che «affinché si raggiunga questo obiettivo, diventi necessario avviare precocemente protocolli di cooperazione europea, al fine di proporre un’offerta di esportazione coerente e avanzata»? Naturalmente, “l’alleanza per il nucleare” ha immediatamente chiesto un accesso dell’energia atomica ai meccanismi di finanziamento europei. Quando poi l’accordo celebra i suoi fasti senza ritegno alcuno – testualmente: «Abbiamo bisogno di nuovo nucleare per inaugurare un’età dell’oro dell’energia pulita e abbondante: è l’unico modo per proteggere i bilanci delle famiglie, riprendere il controllo della nostra energia e affrontare la crisi climatica» – chi ha autorizzato il nostro Governo a condividere questa prospettiva?
E i referendum traditi ed i ritardi sulle rinnovabili a chi imputarli se non a una classe dirigente priva di una valorizzazione di quell’esercizio della pedagogia politica che confida nei cittadini e si colloca in comunicazione con loro, non rinchiudendosi in quelle élite che, al riparo di un populismo mal dissimulato, non esibiscono un sufficiente riguardo della rappresentanza e delle sue regole di democrazie diretta e delegata. © RIPRODUZIONE RISERVATA