Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, in Europa il rumore provoca ogni anno almeno 48.000 nuovi casi di malattie cardiache e 2000 decessi prematuri, con un andamento sempre crescente.  In Italia l’Istat certifica che negli ultimi anni diversi capoluoghi di provincia hanno registrato livelli di rumore costantemente superiori ai limiti di legge,, specialmente nelle aree urbane ad alta densità di traffico e con intensa attività commerciale. La riforma Cartabia ha complicato ulteriormente le cose, rendendo punibile il reato di inquinamento acustico punibile non più d’ufficio ma su querela. Per fortuna, il Consiglio di Stato ha appena confermato che, in caso di condotte moleste per la quiete pubblica imputabili alla presenza di un pubblico esercizio, il sindaco può ordinarne la chiusura anticipata, anche se si tratta di fatti non direttamente imputabili all’esercente


◆  L’analisi di GIANFRANCO AMENDOLA, giurista 

C’è una importante novità per il contrasto all’inquinamento acustico. Recentemente, infatti, su queste colonne l’11 febbraio abbiamo doverosamente riportato il grido d’allarme della Corte dei conti europea per questo fenomeno che, nella indifferenza quasi generale, secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, in Europa provoca ogni anno almeno 48.000 nuovi casi di malattie cardiache e 2000 decessi prematuri, con un andamento sempre crescente. Non risparmiando, ovviamente, l’Italia, dove, peraltro, l’Istat certifica che negli ultimi anni diversi capoluoghi di provincia hanno registrato livelli di rumore costantemente superiori ai limiti di legge, specialmente nelle aree urbane ad alta densità di traffico e con intensa attività commerciale. 

Purtroppo, però non abbiamo una vera normativa che ci tuteli dalll’inquinamento. C’è solo una vecchia legge del 1995 che demanda ai Comuni di fissare limiti ma che non viene quasi mai applicata per carenza di controlli; e che, comunque, in caso di violazioni, prevede solo sanzioni amministrative. L’unica difesa è, quindi, il buon vecchio codice penale che punisce con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309 «chiunque mediante schiamazzi o rumori ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche .. disturba le occupazioni o il riposo delle persone..» (art. 659). Norma molto generica ma sfruttata al massimo dalla giurisprudenza applicandola contro l’inquinamento acustico in qualsiasi modo provocato, dal cane alle campane, dalla motocicletta all’aeroporto, agli allarmi e alle discoteche, precisando, tuttavia, che deve trattarsi di rumori «potenzialmente idonei a disturbare il riposo e le occupazioni di un numero indeterminato di persone». Il che non è sempre facile da provare in giudizio. 

Né di certo ha migliorato la situazione una recente modifica (legge Cartabia del 2022) proprio dell’art. 659 c.p. che adesso è punibile non più di ufficio ma solo se qualcuno sporge querela «salvo che il fatto abbia ad oggetto spettacoli, ritrovi o trattenimenti pubblici, ovvero sia commesso nei confronti di persona incapace, per età o per infermità». Modifica veramente inaccettabile perché subordina il nostro diritto fondamentale, costituzionalmente garantito, alla salute, alla formalità della presentazione di una querela, con tutte le complicazioni ed i ritardi che questo comporta. 

Adesso, però, come accennavamo, c’è una novità positiva che riguarda i pubblici locali. Il Consiglio di Stato (Sez. V, n. 240/2025), infatti, ha appena confermato senza ombra di dubbio che, in caso di condotte moleste per la quiete pubblica imputabili alla presenza di un pubblico esercizio, il sindaco può ordinarne la chiusura anticipata, anche se si tratta di fatti non direttamente imputabili all’esercente, come capita, ad esempio, quando si verificano rumorosi assembramenti nelle prospicienze del locale. Il che avviene molto frequentemente soprattutto per discoteche e simili, quando gli avventori, spesso ubriachi o strafatti, impazzano uscendo in strada, a notte fonda, svegliando tutto il vicinato. Tanto più che, in questo caso, come precisato dalla Cassazione (Sez. 3, n. 19594/2023), si tratta di «ritrovi» e pertanto non c’è bisogno di querela e si procede d’ufficio.

Ebbene, in questi casi, adesso l’esercente rischia la chiusura. E rischia anche una condanna per l’art. 659 c.p. in quanto sempre la Cassazione ha più volte precisato che il gestore ha anche l’obbligo di impedire schiamazzi fuori del locale, aggiungendo che comunque, per provare il reato, non ci vogliono complicate misurazioni e denunce ma sono sufficienti le testimonianze degli avventori e degli agenti. Insomma, in attesa di tempi migliori per la nostra salute e per le nostre orecchie, non è molto ma è già qualcosa. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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Dal 1967 Pretore a Roma, inizia ad occuparsi di normativa ambientale dal 1970. Dal 1989 al 1994 parlamentare europeo, vice presidente della commissione per la protezione dell’ambiente. Dal 2000 al 2008 Procuratore aggiunto a Roma con delega ai reati ambientali, poi Procuratore della Repubblica a Civitavecchia fino al pensionamento (2015). Ha ricoperto numerosi incarichi pubblici partecipando a tutte le vicende che hanno visto nascere ed affermarsi il diritto dell'ambiente in Italia. Ha insegnato diritto penale dell’ambiente in varie Università scrivendo una ventina di libri fra cui “In nome del popolo inquinato” (7 edizioni). Attualmente fa parte del comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare ed è docente di diritto penale ambientale presso le Università “La Sapienza” e Torvergata di Roma.

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