Secondo l’Organizzazione mondiale della Sanità, in Europa il rumore provoca ogni anno almeno 48.000 nuovi casi di malattie cardiache e 2000 decessi prematuri, con un andamento sempre crescente. In Italia l’Istat certifica che negli ultimi anni diversi capoluoghi di provincia hanno registrato livelli di rumore costantemente superiori ai limiti di legge,, specialmente nelle aree urbane ad alta densità di traffico e con intensa attività commerciale. La riforma Cartabia ha complicato ulteriormente le cose, rendendo punibile il reato di inquinamento acustico punibile non più d’ufficio ma su querela. Per fortuna, il Consiglio di Stato ha appena confermato che, in caso di condotte moleste per la quiete pubblica imputabili alla presenza di un pubblico esercizio, il sindaco può ordinarne la chiusura anticipata, anche se si tratta di fatti non direttamente imputabili all’esercente
◆ L’analisi di GIANFRANCO AMENDOLA, giurista
Purtroppo, però non abbiamo una vera normativa che ci tuteli dalll’inquinamento. C’è solo una vecchia legge del 1995 che demanda ai Comuni di fissare limiti ma che non viene quasi mai applicata per carenza di controlli; e che, comunque, in caso di violazioni, prevede solo sanzioni amministrative. L’unica difesa è, quindi, il buon vecchio codice penale che punisce con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 309 «chiunque mediante schiamazzi o rumori ovvero abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche .. disturba le occupazioni o il riposo delle persone..» (art. 659). Norma molto generica ma sfruttata al massimo dalla giurisprudenza applicandola contro l’inquinamento acustico in qualsiasi modo provocato, dal cane alle campane, dalla motocicletta all’aeroporto, agli allarmi e alle discoteche, precisando, tuttavia, che deve trattarsi di rumori «potenzialmente idonei a disturbare il riposo e le occupazioni di un numero indeterminato di persone». Il che non è sempre facile da provare in giudizio.
Adesso, però, come accennavamo, c’è una novità positiva che riguarda i pubblici locali. Il Consiglio di Stato (Sez. V, n. 240/2025), infatti, ha appena confermato senza ombra di dubbio che, in caso di condotte moleste per la quiete pubblica imputabili alla presenza di un pubblico esercizio, il sindaco può ordinarne la chiusura anticipata, anche se si tratta di fatti non direttamente imputabili all’esercente, come capita, ad esempio, quando si verificano rumorosi assembramenti nelle prospicienze del locale. Il che avviene molto frequentemente soprattutto per discoteche e simili, quando gli avventori, spesso ubriachi o strafatti, impazzano uscendo in strada, a notte fonda, svegliando tutto il vicinato. Tanto più che, in questo caso, come precisato dalla Cassazione (Sez. 3, n. 19594/2023), si tratta di «ritrovi» e pertanto non c’è bisogno di querela e si procede d’ufficio.