Il bellimbusto, sovrano di clamori mediatici e televendite, aveva provato ad infilarsi al centro al centro della Cavalcata della città Turrita, una delle sfilate in costume più celebri e suggestive del folklore nazionale. Nella quale, il virgulto coronato, aveva pensato di far sfilare nel corteo la compagna, Adriana Abascal, avvolta nelle sfarzose vesti del Logudoro. Levandosi, una volta tanto, una soddisfazione regale, perché così avevano fatto la bisnonna, Margherita, alla prima edizione della Cavalcata, e la nonna, Maria Jose del Belgio il 3 giugno del 1939, sebbene costei, i cetrioli, freschi o in barattolo pare li odiasse, benché sponsorizzati col marchio Saclà dall’inconsapevole nipote. Per evitare il bis dello sputo in faccia rimediato a Cagliari mentre gustava un gelato a passeggio lungo il corteo di Sant’Efisio, stavolta l’erede al trono si era premurato di annunciare una donazione di diecimila euro pr una borsa di studio dell’Ateneo dei figli della buona borghesia sassarese. Su com’è andata a finire, stavolta niente anticipazioni: tra il serio e il faceto, avviatevi pure con comodo a leggere
◆ Il racconto semiserio di MAURIZIO MENICUCCI
► Prendi il rampollo di una delle tante famigliuole coronate della vecchia Europa, la cui parabola discendente — a partire dal nonno, fuggito a gambe levate nel ’43, dal Paese che aveva consegnato al fascismo — assomiglia più a una linea retta che a una curva. E mettilo al centro della 74esima “Cavalcata Sarda” una delle sfilate in costume più celebri e suggestive del folklore nazionale. Con una ricetta così, il successo, se sei il patron dell’iniziativa, sembrerebbe assicurato: t’intesti un’edizione della festa che anche i più irsuti comunisti saranno costretti a ricordare e tutti parleranno di te per decenni a venire, perché sulle tradizioni locali non si spara e qui siamo nella provincia più sabauda dell’ex Regno di Sardegna. Dopo queste meditate valutazioni tra sociologia e Storia, al malandato centro-destra sassarese, invitare alla sgroppata di primavera Emanuele Filiberto di Savoia — principe di Venezia e Piemonte, detto anche ‘principe cetriolo’ per i memorabili trascorsi come testimonial della Saclà e la passione per le passerelle mediatiche purchessia — era sembrata una magnifica idea. Quel colpo di reni che ci voleva, senza troppi rischi né polemiche, per riscaldare di nuovo il cuore degli elettori e magari far proseliti, dopo le batoste elettorale dell’anno scorso e quella giudiziaria ancora in pieno sviluppo, di cui daremo conto più in là.
Piaceva, sopratutto, l’idea di averlo, l’erede a vita, presente sul palco d’onore, tra le autorità cittadine. Primo, perché la “Cavalcata” era stata istituita nel 1899 proprio in onore della Real Casa. Secondo, perché in quello stesso giorno, domenica 18 maggio, il figlio di Vittorio Emanuele III sarebbe stato comunque a Sassari per incontrare i filomonarchici sardi guidati dal loro presidente, Massimiliano Manca, marchese di Mores, Ardara e Ittireddu. Ottima persona, ne dicono tra l’altro i concittadini unanimi, sebbene, aggiungano sottovoce, mai completamente rimesso dal trauma d’aver scoperto, sui banchi di scuola, che il suo cognome è una parolaccia: vuol dire sinistra. Solo un pettegolezzo, appunto; però, a sua parziale conferma, nessuno l’avrebbe mai sentito l’avvocato marchese usare l’espressione “a destra e a manca’, avendola, pare, il nobiluomo, sostituita da tempo con un più sbrigativo — anche se per i sodali politicamente sospetto — “a tutti”.
In ogni caso, alla chiamata festaiola, che prevedeva anche una conferenza all’Ateneo, l’ultimo dei Savoia aveva risposto entusiasta e probabilmente anche incredulo per tanta visibilità. Tant’è che, sventolando grato una donazione da diecimila euro per l’Università, s’era precipitato a Sassari con qualche giorno di anticipo rispetto all’evento. Insinuano i maligni — va da sé, di sinistra — che l’indomito pretendente alla corona d’Italia ambisse a un nuovo e più metaforico bagno di folla, dopo lo sputo indirizzatogli da un detrattore, lo scorso 1° maggio, a Cagliari, durante la Festa di Sant’Efisio, mentre il dinasta era intento a leccare un democratico cono gelato tra la folla. I medesimi maligni lasciano anche intendere che il Filiberto Emanuele, non nuovo alle apparizioni nel capoluogo turritano grazie alla squisita ospitalità delle passate giunte, stavolta confidasse addirittura di far sfilare — piccolo sfizio regale — la compagna, Adriana Abascal, in costume del Logudoro, come avevano fatto la bisnonna, Margherita, e la nonna, Maria José.
Dunque, sembrava fatta per tutti, organizzato e organizzatori, nella cui cerchia, pregustando l’imminente trionfo, e segnalando un’insospettabile senso dell’umorismo, qualcuno avrebbe anche fatto girare l’originale battuta: “Siamo a cavallo”. Invece, è successo che, all’interno della destra sassarese, un manipolo di frondisti, in preda a un attacco di lucidità, s’è tirato indietro. L’invito è sfumato, anzi tutti negano di averlo fatto. E il predestinato al trono, dopo una rapida apparizione tra pochi notabili, convenuti da ogni feudo dell’isola con i loro improbabili sottotitoli, è stato vanamente atteso all’Università dalla migliore borghesia sassarese in polpe, tra i lazzi dei passanti. Dopo di che, l’intera vicenda, almeno per come l’hanno riportata i giornali locali, è diventata confusa, forse per limitare il danno, e soprattutto la beffa a chi l’aveva pensata. Anche perché alla fine il meno perdente è proprio il pargolo reale, che nella riunione tra nostalgici è riuscito a richiamarli «all’insegnamento dei valori immortali del Casato» e a esortarli a «camminare al mio fianco per scrivere insieme nuovi capitoli nella storia di questa dinastia che tanto ci sta a cuore». Parole talmente alate da far tirare, col senno di poi. un sospiro di sollievo a quelli del centro-destra. Nel senso che, metti caso, il pargolo e i ciambellani si fossero presi davvero lo spazio pubblico, come da programma, poteva finire anche molto peggio, perché si sa come vanno queste cose: le pernacchie son ciliegie, ne basta una e subito parte il coro.
Ovviamente, alle sciagure degli avversari, la sinistra gongola in rigoroso silenzio, che è una delle prime doti del vero balente. La versione autorizzata è che “quelli hanno fatto tutto da soli e noi non abbiamo mosso un dito”. Ma è un segreto di Pulcinella che, dietro le quinte, il sindaco di Sassari, Peppino Mascia, laurea in filosofia e chitarra blues appese al muro ed entrambe sempre calde, abbia quanto meno facilitato il naufragio. E ora, come il gatto con le squame sui baffi che non sa dov’è finito il pesce rosso, ammette solo di aver dato un parere negativo a una richiesta ufficiosa: «Mai posto veti, Ho fatto semplicemente osservare a chi me lo chiedeva che il signor Emanuele Filiberto di Savoia è un cittadino italiano e ha il diritto di andare dove vuole, ma non può comparire a una cerimonia ufficiale insieme alle autorità, perché non rappresenta nessuno. Se ci teneva tanto alla “Cavalcata”, poteva acquistare un biglietto».
Sul latore della questione, Mascia si limita a osservare che «certo non viene dalla mia parte politica». Ma in città anche i rari cubetti di porfido ancora al loro posto sanno che è il rettore dell’Università, Gavino Mariotti, l’anno scorso candidato anti-Mascia e dato anche vincitore, fino a quando non lo ha impallinato un’avviso di garanzia per associazione a delinquere di stampo mafioso. L’inchiesta, che riguarda la gestione della sanità regionale, ha portato alla richiesta di rinvio a giudizio per lui per una trentina di imputati, molti dei quali in odore di massoneria. E siccome siamo alle battute finali di questa storiella, che forse non meritava due righe, se non per il sollievo di un po’ di farsa in mezzo a tante tragedie, la concludiamo con un ultimo giro di voci dei protagonisti, raccattate qua e là.
La precedenza va al magnifico (rettore) Mariotti, il quale navigando a vista nell’imbarazzo, ribalta la trama sostenendo che tutto «è nato da una richiesta di Emanuele Filiberto, che non abbiamo accolto. Comunque l’aula magna dell’università era disponibile, ma nessuno si è presentato». Platealmente smentito, il Savoia si divincola: prima smentisce a sua volta il mancato ospite, deplorandone l’ambiguità e lo «scarso coraggio politico»; poi dice che tanto non avrebbe potuto esserci perché doveva andare a Roma per l’insediamento del nuovo Papa. Infine, si congeda con sovrana magnanimità dalle polemiche: «La borsa di studio è sempre disponibile». E anche noi, dopo questa regale ‘captatio benevolentiae’ che certamente gli consentirà, in un prossimo futuro, di superare asciutto a Sassari la prova-gelato fallita a Cagliari, potremmo mettere il punto e salutare i lettori. In cauda venenum, però, permetteteci di citare la lapidaria promessa di Mascia: «Se il principe vorrà ritornare per un’altra occasione, e a me, ad esempio, piacerebbe che ci fosse il 25 aprile, lo accoglieremo come si deve». Dissolvenza e musica blues, come piace al sindaco: naturalmente, ‘Riding with the King’, di Eric Clapton. © RIPRODUZIONE RISERVATA