Fino al secolo scorso, uomini abbastanza coraggiosi da rischiare la vita per mantenere le proprie famiglie hanno sfidato il mare e i capodogli. Le loro uniche armi erano fiocine e arpioni lanciati manualmente, a bordo di scialuppe (bote) affrontavano con le lance questi giganteschi mammiferi, aiutati da un sistema di vigias (vedette) per individuare gli animali dalla costa e guidare le baleniere grazie a segnali di fumo. Poi, uccisa la preda, bisognava trascinarla sulla terraferma dove veniva lavorata in ogni sua parte, fornendo opportunità di lavoro a molti abitanti delle isole. Il video proiettato ai visitatori della Fabrica da Baleia a Faial fa capire molte cose e giustifica in qualche modo quella caccia delle origini. Poi sono arrivati i giapponesi e i radar ed è iniziata la mattanza industriale. Bloccata la caccia alle balene quarant’anni fa, oggi si possono osservare nell’arcipelago e godere del loro spettacolo naturale una ventina di specie diverse di cetacei a metà strada tra Europa e Americhe
◆ Il viaggio di CESARE A. PROTETTÌ, nostro inviato alle Azzorre
► Azzorre, giugno 2025. Faial è una delle nove isole dell’arcipelago che si trova nel mezzo dell’Oceano Atlantico a metà strada tra l’Europa e l’America. È di 50 km quadrati più piccola dell’isola d’Elba ma è ricca di storia e di storie. Una di quelle che mi ha portato qui ce l’ha lasciata Antonio Tabucchi, l’autore di Sostiene Pereira, uno scrittore che amava il Portogallo e che ha voluto essere sepolto in questo paese, nel cimitero Dos Prazeres (il cimitero dei Piaceri) di Lisbona. Il libro che mi ha fatto da nocchiero in questo viaggio si intitola Donna di Porto Pim. Tabucchi lo ha scritto a Vecchiano, in Toscana, nel settembre 1982 (Sellerio lo ha pubblicato nel 1983), spinto da una ragione che ha spiegato lui stesso: «Ho molto affetto per gli onesti libri di viaggio…Essi posseggono la virtù di offrire un altrove teorico e plausibile al nostro dove imprescindibile e massiccio». In particolare l’arcipelago delle Azzorre gli sembrò «più immaginario che reale». «Anzi, così fuori luogo rispetto a tutto – volle spiegare Tabucchi – che quando tornai mi parve che anche il mio viaggio fosse stato immaginario. Avevo visto delle balene che fin ad allora avevo considerato animali immaginari; avevo ascoltato storie di vite tragiche che pensavo esistere solo in letteratura; avevo visto paesaggi strani, dove gli alberi di ananasso si mescolano alle ortensie, che credevo si trovassero solo nei manuali di geografia fantastica. Affinché tutto quello che avevo visto e vissuto non svanisse nell’aria come un miraggio, pensai di raccontarlo».
Anche io, nel mio piccolo, voglio raccontarlo ai nostri lettori perché non tutto svanisca negli impalliditi ricordi di un bellissimo viaggio nell’isola blu come l’ha battezzata il poeta portoghese Raul Brandão per le ortensie che in estate la colorano con i loro «grandi fiori azzurri e rosa, carnosi come frutti» (la descrizione è ancora di Tabucchi). Negli anni Sessanta ad Horta, nel porto della capitale, facevano scalo navigatori solitari come Sir Francis Chichester ed Éric Tabarly. Oggi sono un buon numero le barche a vela e gli yacht privati ormeggiati nel porto o all’ancora nel pacifico golfo dominato dal Monte da Guia, un promontorio che prende il nome da “Nossa Senhora da Guia” (Nostra Signora che ci guida), patrona dei pescatori in Portogallo.
Faial è la terza isola più popolosa delle Azzorre con quasi 15.000 abitanti, ed è parte del gruppo centrale dell’arcipelago, la più occidentale del triangolo che comprende São Jorge e Pico, quest’ultima vicinissima, a poche miglia (mezz’ora di traghetto) da Faial: «un cono vulcanico – come lo descrive Tabucchi – che fuoriesce di repente dall’oceano, nient’altro che un’alta montagna scoscesa posata sull’acqua». Una montagna con la cima quasi sempre coperta dalle nuvole. Ogni tanto il cappello di nubi scende o si alza e spunta il cono della cima, la più alta del Portogallo, con i suoi 2.351 metri sul livello del mare. L’isola, che prende il nome dalla presenza di molti alberi di faggio (faias), fu scoperta nel 1427 da navigatori fiamminghi. Durante il diciassettesimo secolo l’isola divenne un porto commerciale molto importante, grazie alla sua posizione che la rese un porto sicuro fra Europa e America.
Oggi Faial e Pico sono al centro di un’area marina protetta dove si possono vedere esemplari di una ventina di specie di cetacei, tra residenti e migratorie. A loro Tabucchi dedica un capitolo della Donna di Porto Pim e racconta che alle Azzorre «le balene, quando galleggiano in mezzo all’oceano, sembrano sottomarini alla deriva colpiti da un siluro e galleggiando nei giorni di bonaccia come lucidi tronconi ciechi». In queste acque è soprattutto il capodoglio (qui lo chiamano cachalote) il protagonista assoluto, il più grande animale vivente munito di denti (20-26, a forma di cono, nella mandibola inferiore): il maschio può misurare fino a 18 metri e pesare circa 45 tonnellate, la femmina non supera gli 11 metri e le 15 tonnellate di peso. Quando si immergono in cerca di cibo possono trattenere il respiro fino a 90 minuti.
Dal 1896 al 1949 – l’apice della storia della caccia alle balene nelle Azzorre – sono state cacciate e uccise circa 12.000 balene. ll Museu dos Baleeiros nell’isola di Pico e la Fábrica da Baleia nell’isola di Faial raccontano la storia di questa caccia che ha rappresentato per decenni una importante forma di sostentamento per le popolazioni dell’arcipelago. Nella fabbrica-museo di Faial una sezione indica le quantità di prodotti ottenuti dalle balene uccise dal 1942 al 1975, anno di chiusura dello stabilimento: 44mila bidoni (da 200 litri) di olio, 1.200 tonnellate di farina e anche 5 kg di preziosissima ambra grigia, un ingrediente che era molto richiesto per i profumi più raffinati anche perché consente alle fragranze di legare meglio con la pelle, invece di evaporare rapidamente. Poi la profumeria sintetica ha messo fuori mercato sia l’ambra grigia che il nostro bergamotto.
Per tutto questo, fino al secolo scorso, uomini abbastanza coraggiosi da rischiare la vita per mantenere le proprie famiglie hanno sfidato il mare e i capodogli. Le loro uniche armi erano fiocine e arpioni lanciati manualmente. Poi, uccisa la preda, bisognava trascinarla sulla terraferma dove veniva lavorata in ogni sua parte, fornendo opportunità di lavoro a molti abitanti delle isole. Il video proiettato ai visitatori della Fabrica da Baleia a Faial fa capire molte cose e giustifica in qualche modo quella caccia delle origini. Poi però sono arrivati i giapponesi che hanno trasformato in una strage di cetacei su scala industriale questa che era una caccia epica di uomini coraggiosi che a bordo di scialuppe (bote) affrontavano con le lance e gli arpioni questi giganteschi mammiferi, aiutati da un sistema di vigias (vedette) per individuare gli animali dalla costa e guidare le baleniere grazie a segnali di fumo. E insieme ai giapponesi sono arrivati i radar. Contro questa decimazione guidata dalle navi nipponiche si è levata forte e determinata la voce delle organizzazioni ambientaliste. La loro crescente pressione ha portato anche il Portogallo a firmare, nel 1982, la moratoria della Commissione baleniera internazionale per fermare definitivamente la caccia alle balene e ai capodogli. L’ultimo dei Mohicani fu un baleniere irriducibile dell’isola di Pico che arpionò, con rabbia, la sua ultima balena nel 1987.
Oggi il rapporto con i cetacei qui è tutto diverso: si è passati dalla caccia all’osservazione responsabile delle balene come un modo per educare alla biologia marina e aiutare la ricerca a garantire la conservazione. Pullulano su questa isola come in quelle vicine le agenzie che organizzano escursioni in barca per il whale-whatching. Un’altra istituzione dell’isola è il Cafè Sport, meglio conosciuto come Peter’s, dal nome dell’uomo che per ottant’anni ha gestito questo storico locale affacciato sul porto e che ora si è allargato vendendo magliette e souvenir. La parte originale sembra però ancora uscita da un racconto di Melville o da una canzone di Lucio Dalla. È un locale che sintetizza un po’ tutto su questa isola: una tasca, piccola e sempre piena anche se non si mangia particolarmente bene, un bar ben fornito con “The best kind of Alcoholic drinks”, come recita una grande placca rotonda sopra lo scaffale delle sigarette. Non ci sono più i bigliettini, ingialliti dal tempo, con i messaggi attaccati sul bancone di legno in attesa che il destinatario si faccia vivo. A destra una porta in legno, con l’oblò, dà accesso allo Scrimshaw museu, una raccolta di 2.500 preziosi denti di capodoglio con incise a bulino scene marine dai pescatori azzorriani. Sono piuttosto cari: dai 200 a oltre mille euro.
E la donna di Porto Pim, la donna immaginata da Tabucchi? «La incontrai una domenica su porto. Vestiva di bianco, aveva le spalle nude e portava un cappello di trina. Sembrava scesa da un quadro e non da una di quelle navi cariche di persone… La guardai a lungo e anche lei mi guardò. È strano come l’amore può entrare dentro di noi». «Le notti sono silenziose a Porto Pim: basta sussurrare nel buio per sentirsi a distanza». © RIPRODUZIONE RISERVATA