ROMA, 24 MAGGIO 2024 (Red) — La raccolta firme sui quesiti proposti dal sindacato è partita lo scorso 25 aprile e, oltre ai banchetti organizzati nelle piazze delle città e alle manifestazioni (come la manifestazione nazionale a Napoli di dopodomani 25 maggio contro l’autonomia differenziata e il premierato), prosegue anche online sul sito di Collettiva (per firmare clicca qui, per la firma digitale serve avere lo Spid o il Cie della carta d’identità elettronica, qui le istruzioni su come fare). A partire dai primi giorni di maggio è stato lanciato un appello a partecipare alla raccolta di firme da un gruppo di costituzionalisti e di personalità del mondo delle associazioni, tra cui il portavoce di Sbilanciamoci Giulio Marcon, Gaetano Azzariti (Costituzionalista, Università La Sapienza), Maria Luisa Boccia (Presidente Centro Riforma dello Stato), Don Luigi Ciotti (Presidente di Libera), Valeria Cirillo (Economista, Università di Bari), Silvano Falocco (Presidente delle Fondazione Ecosistemi), Alfiero Grandi (Vice Presidente Comitato Difesa della Costituzione), Luigi Ferrajoli (Filosofo del diritto), Tomaso Montanari (Rettore dell’Università per Stranieri di Siena), Andrea Morniroli (Coordinatore di Forum Diseguaglianze e Diversità), Michele Raitano (Economista, Università di Roma) e Nadia Urbinati (Politologa, Columbia University). L’obiettivo per tutti è raggiungere, per ciascuno dei quattro quesiti, la soglia minima di 500mila firme necessarie per indire il referendum nel 2025.
A segnalare la profonda ingiustizia e la sostanziale inapplicabilità di questa norma ci sono state due delle tre sentenze recenti della Corte Costituzionale, intervenuta per via incidentale su casi recenti riguardanti licenziamenti illegittimi e differenti tutele risarcitorie tra dipendenti della stessa impresa con lo stesso inquadramento e la stessa situazione. L’Alta Corte ha allargato i paletti della tutela anche nelle piccole imprese in caso di nullità del licenziamento, prevedendo la reintegra sul posto di lavoro e l’indennità di risarcimento. Così facendo ha dato nuova vita all’Art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, che altrimenti avrebbe dovuto andare “in pensione” insieme ai lavoratori più anziani nelle aziende con più di 15 dipendenti.
L’altro quesito referendario che si riferisce al Jobs Act è il terzo, quello che la Cgil ha definito “per un lavoro stabile” e riguarda un altro decreto attuativo della riforma Renzi – il decreto 81 del 2015, articolo 19 – quello che nello sventagliamento delle 47 tipologie contrattuali del Jobs act aveva nascosto la liberalizzazione del contratto a tempo determinato. In aggiunta il quesito deve intervenire per abrogare contestualmente anche un pezzo del decreto Lavoro varato nel 2023 dal governo di Giorgia Meloni. In questo modo si intende ripristinare la necessaria causalità del contratto a tempo determinato, il datore di lavoro sarebbe dunque nuovamente tenuto a dare una motivazione sul perché l’assunzione che intende fare è solo a tempo parziale.
Del Jobs act non verrebbe in ogni caso abolita la Naspi, l’indennità di disoccupazione che copre tutti i lavoratori subordinati o parasubordinati che perdono il lavoro e che ai tempi del governo Renzi andava sotto il nome di Aspi. — (Si ringrazia Rachele Gonnelli, da “Sbilanciamoci”)