A mezza bocca, per parlare il meno possibile dei cinque referendum su cui siamo chiamati a votare oggi e domani, s’è fatto cenno alla crisi dell’istituto referendario che ci ha dato la Repubblica. Una campagna “silenziata” e distorta dall’informazione di regime, oggi più di sempre. Che abbiano paura di un risveglio della partecipazione democratica di chi non va più a votare? I conti li tireremo fra non molte ore. Ma, stando ai più recenti, non dobbiamo scordarci che è grazie ai referendum popolari (due in vent’anni) se l’Italia non s’è impiccata all’energia nucleare di cui la Francia è capofila in Europa: matrimonio indissolubile quello dell’atomo civile e militare, se ci eravamo forse distratti. Né dobbiamo scordarci che, senza il referendum per l’acqua pubblica, tutta la Penisola sarebbe già in mano alle multinazionali dell’acqua potabile. Vittorie mai definitive per scardinare equilibri di potere opprimenti che − alla distanza − si rivelano preziosissime per tutti. Può avvenire anche stavolta
◆ L’editoriale di IGOR STAGLIANÒ
► Lì per lì non m’è piaciuto molto − lo ammetto − quell’io al posto del noi messo da Maurizio Landini nel suo appello a votare. Perché usare lo slogan “vota per te” se le leggi da abrogare toccano tutti, in un modo o nell’altro? La dimensione collettiva della lotta sociale è stata il retroterra di tutte le conquiste anche individuali, a cominciare da divorzio e aborto. Furono l’alba di una partecipazione democratica che ha cambiato in profondità un’Italia dimezzata, quei primi due referendum popolari − seguiti a quello del 2 Giugno che ci ha dato la Repubblica, dopo la dittatura, e il suffragio universale, con l’inclusione delle donne nella partecipazione democratica piena dello Stato. Ci volle poi più di un quarto di secolo prima che, dal basso, l’Italia si mettesse al passo con le spinte di emancipazione e crescita emersi negli anni del boom economico e della trasformazione industriale. Si affermarono nuovi diritti, una nuova cultura dell’individuo, extra ecclesiam stavolta: l’auto affermazione delle persone non ebbe più bisogno dell’approvazione preventiva della chiesa e/o del partito per realizzarsi, grazie al coagularsi di milioni e milioni di volontà individuali decisamente più avanti dei loro rappresentanti, come intuì nella sua visionarietà Marco Pannella (e, con lui, socialisti come Loris Fortuna).
Dell’uso − e dell’abuso − successivo dell’istituto referendario se n’è fatto cenno in abbondanza anche in questa campagna “silenziata” e distorta dalla stampa e dalla televisione di regime. Qualche eccesso sì, c’è stato. Ma non dobbiamo scordarci che è grazie ai referendum popolari (due in vent’anni) se l’Italia non s’è impiccata all’energia nucleare di cui la Francia è capofila in Europa: matrimonio indissolubile quello dell’atomo civile con quello militare, se ci fossimo distratti in cosa consista la force de frappe nucleare con cui Parigi alza la cresta. E i nipotini di Asterix cercano di tenerci a loro legati da portatori d’acqua, come ha fatto quindici anni fa il sardonico Sarkozy con Berlusconi e questa settimana l’indigeribile Macron con Meloni. Né dobbiamo scordarci che, senza il referendum per l’acqua pubblica, tutta la Penisola sarebbe già in mano alle multinazionali dell’acqua potabile. Vittorie mai definitive per affermare punti di vista dissonanti dagli equilibri di potere che − alla distanza − si rivelano preziosissimi per tutti.