Qualunque ricercatore che operi in ambito tecnico-scientifico, più che risolvere i massimi sistemi, deve cercare di affrontare, con rigore e metodo scientifico, problemi concreti e reali, offrendo soluzioni per la comunità di riferimento. E il ricercatore deve impegnarsi a fare giungere i risultati delle proprie ricerche alle persone più interessate (altri ricercatori operanti nello stesso settore e in ambiti vicini, fino ad arrivare, direttamente o meno, al settore produttivo). Per farlo deve pubblicare i propri lavori su riviste consolidate e apprezzate nel proprio ambito per la serietà delle valutazioni, fatte da “pari” preparati e coscienziosi. Ma, a farsi largo, sono oggi riviste definite “predatorie” con l’appoggio economico delle case editrici, attivando un vero e proprio “mercato” delle citazioni (io cito te, tu citi me, così alziamo i nostri H index): giù giù per li rami, a cascata fino ai Dipartimenti di ricerca. Con giovani ricercatori in formazione che finiscono per diventare, consapevolmente o meno, schiavi di un sistema del tutto artificioso. Tutti letteralmente impazziti per la compilazione di fogli excel pieni di algoritmi e parametri cari all’Anvur, l’Agenzia nazionale di valutazione che compie diciotto anni ma ha già le rughe in volto
◆ L’analisi di MARIA LODOVICA GULLINO
Cercherò di sostenere questa tesi portando come esempio ciò che accade nell’ambito scientifico di cui mi occupo, quello delle scienze agrarie, evidenziando gli effetti negativi, in qualche caso addirittura nefasti, che la burocratizzazione e l’esasperazione della valutazione ha sui singoli ricercatori, oltre che sul sistema in generale. Qualunque ricercatore che operi in ambito tecnico-scientifico, più che risolvere i massimi sistemi, deve cercare di affrontare, con rigore e metodo scientifico, problemi concreti e reali, offrendo, se possibile, soluzioni per la comunità di riferimento. Nel nostro caso assistenza tecnica e agricoltori. È evidente che il ricercatore deve impegnarsi a fare giungere i risultati delle proprie ricerche alle persone più interessate (altri ricercatori operanti nello stesso settore e in ambiti vicini, fino ad arrivare, direttamente o meno, al settore produttivo). Per fare ciò deve pubblicare i propri lavori su riviste consolidate e apprezzate nel proprio ambito per la serietà delle valutazioni, fatte da “pari” preparati e coscienziosi. Spesso le riviste più “serie” sono quelle appartenenti alle Società scientifiche di riferimento, che storicamente hanno investito nel mantenimento di pubblicazioni di settore di qualità.
Insomma, un sistema veramente “circolare”, un cane che si mangia la coda, si potrebbe dire. La cosa, vista mettendo al centro la figura del ricercatore, porta molti a pubblicare risultati che spesso non reggerebbero una valutazione seria, su tali riviste predatorie, mettendo in atto anche un vero e proprio “mercato” delle citazioni (io cito te, tu citi me, così alziamo i nostri H index). Un sistema che poi ricade sui Dipartimenti. A livello di Dipartimento, ottimi tecnici, invece di dedicarsi alla ricerca, vengono dirottati a costruire un insieme tanto perfetto quanto artificioso di lavori, dotati dei parametri “giusti” in modo che il Dipartimento possa risultare produttivo ed efficiente, secondo gli standard Anvur. A chi serve tutto ciò? Non certo al Dipartimento, che così facendo perde di vista la funzione di aiutare i suoi ricercatori a lavorare bene, crescendo seriamente. Giovani ricercatori in formazione finiscono per diventare, consapevolmente o no, schiavi di un sistema del tutto artificioso.
È mai possibile che nessuno voglia affrontare questa situazione, sempre più evidente soprattutto in ambito tecnico-scientifico? Dove una percentuale altissima delle pubblicazioni che proliferano in una certa categoria di riviste, non porta alcun contributo al settore. Anzi, verrebbe da dire, meno male che in un sistema del genere, che fa corto circuito da solo, nessuno legge tali lavori. È mai possibile che siamo tutti letteralmente impazziti per la compilazione di fogli excel pieni di algoritmi e parametri cari all’Anvur? Il vulnus non sta certo nel principio, sacrosanto, della necessità di essere valutati ma, piuttosto, nell’interpretazione esagerata che noi stiamo dando all’applicazione puramente burocratica di parametri, soglie e algoritmi. Molti altri paesi hanno già fatto marcia indietro, tornando a valutare con attenzione le ricerche condotte, le metodologie usate, l’impatto di quanto ottenuto sull’avanzamento delle conoscenze. Ma per fare ciò ci vuole tempo, serietà e preparazione dei valutatori. E l’uso, accanto ad algoritmi e soglie, anche di un po’ di quel vecchio buon senso che aiuta a entrare nel merito di quanto si legge (il lavoro vero e proprio) senza fermarsi alle caratteristiche del contenitore (la Rivista).