◆ Il ricordo di IGOR STAGLIANÒ

Ha fatto parte dell’Unione generale degli scrittori e giornalisti palestinesi e aveva appena compiuto settantadue anni il 5 aprile scorso. Ali Rashid era nato ad Amman in Giordania da genitori palestinesi originari di Gerusalemme. Da giovane era stato segretario nazionale del Gups, l’Unione generale degli studenti palestinesi e militante di sinistra di Al Fatah. Dal 1987 è stato Primo Segretario della Delegazione generale palestinese in Italia, ambasciatore della Palestina nel nostro Paese. Aveva fatto parte di Democrazia proletaria e di Sinistra arcobaleno. Naturalizzato italiano, nel 2006 fu per due anni parlamentare alla Camera dei deputati (eletto nelle liste di Rifondazione comunista).

Avevamo entrambi trent’anni quando lo incontrai la prima volta per organizzare a Torino, come Federazione provinciale di Dp, il primo dibattito ufficiale in Italia tra Palestinesi e Israeliani dopo il massacro in Libano nei campi profughi di Sabra e Shatila ad opera delle Falangi libanesi, alleate di Israele. Da una parte la delegazione dell’Olp (Organizzazione per la liberazione della Palestina di Yasser Arafat) guidata dal rappresentante in Italia Nemer Hammad, dall’altra parte la delegazione israeliana guidata da Uri Avnery attivista e deputato alla Knesset del movimento “Peace Now”, autore del saggio “Israele senza sionisti” scritto dopo la Guerra dei Sei giorni che dieci anni prima mi aveva aperto gli occhi sul conflitto israelo-palestinese. Ali Rashid era il giovane braccio destro di Hammad e a colpirti era subito il sorriso mite e gentile di un uomo determinato e colto. Quella sera fu un dibattito appassionato e appassionante nel Cinema Massimo stracolmo fino a Via Verdi per affermare il diritto di due popoli ad avere due stati. Di ritorno a casa i deputati di origine palestinese furono poi fermati al loro rientro in Israele per aver incontrato i rappresentati dell’Olp, senza l’autorizzazione del governo di Tel Aviv.

Ali Rashid è rimasto in Italia a battersi per il suo popolo con il «coraggio gentile della lotta», ha scritto ieri in un bel ricordo per il manifesto Tommaso Di Francesco. Ha continuato a farlo con i suoi libri e i suoi versi fino a quando il suo cuore malandato non ha più retto allo strazio quotidiano che si consuma senza sosta a Gaza e in Cisgiordania. Nell’indifferenza di troppi sepolcri imbiancati. Gli occhi di Ali erano diventati, intanto, una fessura aperta con fatica sul dolore straziante di una terra senza pace. Chissà ancora per quanto.

Di seguito riprendiamo quanto scrisse Ali Rashid su “Articolo 21” una settimana dopo la strage di Hamas del 7 ottobre 2023. Parole che raccontano una disperante vita impegnata per la cessazione del conflitto armato tra israeliani e palestinesi, nel rispetto dei diritti dell’uomo e delle ripetute — sempre disattese — risoluzioni dell’Onu. Chi vuole salutare Ali Rashid potrà farlo oggi a Orvieto, presso la Sala Expo del Palazzo del Popolo dalle 10 alle 17.30. Ciao Ali, almeno tu riposa finalmente in pace.

«Mi addolora il terrore e l’orrore che abbiamo subìto e ora adottiamo per affermare il nostro impellente diritto alla vita»

Il commento di ALI RASHID

▷▷  Corre il tempo, e cambiano i contenuti essenziali, le idee, i concetti e sensi. È compiuto il processo di trasvalutazione di ogni valore. Dio è morto. Viva l’eroica morte, giusto l’annientamento del “nemico”. Dilaga il nichilismo e trionfa la tecnica.

Vivo è in me il racconto di mio nonno, che andava a Safad in Galilea per comprare il foulard di seta dalla comunità ebraica sfuggita dalla inquisizione in Portogallo, e che impararono la tessitura della seta dagli arabi in Spagna.

In Palestina prima della “Nakba”, lo sfollamento forzato del 15 maggio 1948

Il ricordo di Khaiem, socio del mio nonno nella cava vicino a Gerusalemme. Khaiem non ha potuto salvare la mia famiglia dalla pulizia etnica ma continuava a mandare la sua parte del guadagno della impresa finché non morì.

Non ho notizie dei figli di Khaiem, ma io ho seppellito mia sorella in Norvegia, un fratello in America, un mio stimatissimo zio una settimana fa a New York mentre la salma del mio nonno giace in un cimitero affollato ad Amman.

Nelle case di pietra fatte a mano del mio bellissimo villaggio Lifta confinante con Gerusalemme, stanno per costruire un villaggio per i ricchi turisti, mentre una volta era un rifugio sicuro per gli ebrei che fuggivano dal fascismo e dal nazismo che discriminava e annientava gli ebrei nella inenarrabile tragedia dell’Olocausto.

Dio è morto con tutti i valori che ci rendono uguali. Trionfante è l’affermazione della volontà di potenza che affida alla tecnica i propri fini e diventa l’intima essenza dell’essere in un mondo disincantato.

Eppure una volta eravamo tutti fratelli.

In Palestina prima della “Nabka”, lo sfollamento forzato del 15 maggio 1948

Stiamo scivolando tutti nel Nulla, nella mancanza di senso.

E la ragione? La pietà? La misericordia per i vivi e per i morti? La convivenza? Il rispetto? Il diritto?

Ma chi non ha un aereo di guerra sofisticato e moderno o un carro armato deve solo piangere in eterno il suo destino? Deve morire in silenzio?

Come in una “discarica”, sono finiti a Gaza gli abitanti della costa meridionale della Palestina, vittime della pulizia etnica. Secondo i nuovi storici israeliani, per svuotare ogni città o villaggio palestinese furono compiuti piccoli o grandi massacri, lo stesso è avvenuto nei luoghi dove sono sorte le nuove città e insediamenti intorno a Gaza che sono stati teatro degli ultimi eccidi compiuti da noi palestinesi. Mi addolora il fatto che abbiamo adottato il terrore e l’orrore che abbiamo subìto per affermare il nostro impellente diritto alla vita.

Ma questa catena di morte è inarrestabile?

Eppure una volta eravamo fratelli e abbiamo provato la ricchezza e i vantaggi della convivenza e del rispetto reciproco.

Ci stiamo trasformando tutti in vittime e carnefici per la gabbia del finto stato nazionale con confini discriminatori sempre più stretti e selettivi e in nome di fasulle razze e convenienze, di banali appartenenze e schieramenti.

La ragione, l’umanità, la vita ci supplicano a dire no alla guerra! Non siamo condannati a farci a pezzi rassicurando tutti per un proprio futuro!

Non dobbiamo discriminare i vivi e i morti.

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Direttore - Da inviato speciale della Rai, ha lavorato per la redazione Speciali del Tg1 (Tv7 e Speciale Tg1) dal 2014 al 2020, per la trasmissione “Ambiente Italia” e il telegiornale scientifico "Leonardo" dal 1993 al 2016. Ha realizzato più di mille inchieste e reportage per tutte le testate giornalistiche del servizio pubblico radiotelevisivo, e ha firmato nove documentari trasmessi su Rai 1, l'ultimo "La spirale del clima" sulla crisi climatica e la pandemia.

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