Mancano indagini analisi e sondaggi sull’astensionismo in Italia per capire perché il non voto si espande. Per ignoranza, indifferenza, noia, pigrizia, indignazione, superbia, confusione mentale? Di certo non per odio, monopolio degli internauti, che votano più volte al giorno. Sull’astensionismo di massa anche i partiti sembrano distratti e fanno finta di niente. Forse perché, con una platea di votanti più ampia (metà degli elettori non si avvicina più alle urne), le loro percentuali sarebbero ben diverse. Due guerre (in corso) e una pandemia sono state certamente utili a dimostrare come unirsi, collaborare, identificarsi sia indispensabile per difendersi (in senso lato) dalle minacce del presente e – tanto più – del futuro. Dovremmo ricordarcene anche con il voto, per elezioni che potrebbero cambiare il volto dell’Europa


◆ Il pensierino di GIANLUCA VERONESI

Metà degli Italiani non vota e nessuno se ne preoccupa. Non leggo mai analisi, indagini, sondaggi sul fenomeno. Eppure sarebbe semplice. Prendi le liste elettorali e intervisti – ora che il mancato voto non è più reato – coloro che non si sono presentati al seggio. Ignoranza, indifferenza, noia, pigrizia, indignazione, superbia, confusione mentale potrebbero essere le cause. Escludo l’odio e l’invidia che sono invece i sentimenti quotidianamente più usati dal popolo dei social per parlare di politica. Già, perché gli internauti – chiamati odiatori da scrivania – votano tutti i giorni, più volte al giorno. Aizzati dagli appositi uffici propaganda di tutti i partiti. E quindi ritengono di essere ormai veri paladini della democrazia. E come tali, artefici di quella “democrazia diretta” di cui Beppe Grillo si illudeva di essere l’inventore. Non si rendono conto di essere diventati, invece, professionisti dell’insulto, del dileggio e del pettegolezzo.

La premier Giorgia Meloni al 71.mo raduno degli alpini il 5 maggio 2024 (foto Palazzo Chigi)

I partiti sulla questione dell’astensionismo di massa sembrano distratti, fanno finta di niente. Lo fanno anche perché non sono sicuri di niente. Con l’ampliamento della platea votante, le loro percentuali di consenso potrebbero risultare molto diverse. Chi l’ha detto che le scelte degli assenti sarebbero più o meno proporzionali agli attuali elettori (che è l’alibi morale di chi non vota: “tanto il mio voto non cambierebbe nulla”)? Ci si astiene perché la complessità della politica è aumentata in modo esponenziale. Questo succede perché le dimensioni economica, scientifica e tecnologica sono ormai determinanti in ogni ambito della vita collettiva, anche i più quotidiani, modesti e basilari. Ma la politica – che non si vergogna mai di nulla – pretende di governare processi di cui non capisce nulla.

Un tempo vi erano grandi discriminanti ideologiche che semplificavano il voto. La fede, l’essere uomo o donna (oggi ci sono numerose categorie intermedie), se si era metropolitani, cittadini o paesani. Cambiava tutto se vivevi in fabbrica o nei campi. Prima erano arroganti i colti; oggi sono arroganti (e di successo) gli incolti. D’altronde la informazione fingendosi cultura ha ucciso definitivamente la scuola, già massacrata da insegnanti, studenti e genitori (decidete voi l’ordine di colpevolezza). Tanto per essere “moderni” e adeguati ai tempi bisognerebbe spiegare alle tre categorie che per una quindicina di anni ogni adolescente è proprietario di un budget (irripetibile) da spendere per capire il mondo e il posto che in esso si vuole occupare. Tutto quello che capiterà dopo dipende da come hai usato quel tempo e quei soldi.

È difficile capire come votare per i comuni, le regioni, i parlamenti italiani, figurarsi per le istituzioni europee. Due guerre (in corso) e una pandemia non sono state certamente utili a qualsivoglia scopo se non dimostrare come unirsi, collaborare, identificarsi sia indispensabile per difendersi (in senso lato) dalle minacce del presente e – tanto più – del futuro. Questa è la vera dimensione identitaria, non quella delle piccole patrie, egoiste e meschine. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Si laurea a Torino in Scienze Politiche e nel ’74 è assunto alla Programmazione Economica della neonata Regione Piemonte. Eletto consigliere comunale di Alessandria diventa assessore alla Cultura e, per una breve parentesi, anche sindaco. Nel 1988 entra in Rai dove negli anni ricopre vari incarichi: responsabile delle Pubbliche relazioni, direttore delle Relazioni esterne, presidente di Serra Creativa, amministratore delegato di RaiSat (società che forniva a Sky sei canali) infine responsabile della Promozione e sviluppo. È stato a lungo membro dell’Istituto di autodisciplina della pubblicità.

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