Le pratiche commerciali sleali si diffondono a macchia d’olio con dichiarazioni ambientali generiche: «rispettoso dell’ambiente», «ecocompatibile», «eco», «verde», «amico della natura», «naturale», «rispettoso degli animali», «cruelty-free», «sostenibile», «ecologico», «rispettoso delle emissioni di carbonio», «climaticamente neutrale», «biodegradabile», «privo di plastica» o asserzioni analoghe che danno l’impressione di un’eccellenza delle prestazioni ambientali senza però fornirne alcuna prova. La nuova direttiva metterà un freno al dilagare del greenwashing commerciale. Stretta anche su informazioni ingannevoli, durabilità e riparabilità dei prodotti. Potenziata l’ecoetichetta verde europea “Ecolabel”. Per la relatrice croata Biljana Borza, «la Direttiva sulle “Green Claims” cambierà il quotidiano di tutti gli europei. Ci allontaneremo dalla cultura dello scarto, renderemo più trasparente il marketing e combatteremo l’obsolescenza prematura dei beni»


◆ L’analisi di GIORGIO DE ROSSI

Il Parlamento Ue lo scorso 17 gennaio, con 593 voti favorevoli, 21 contrari e 14 astensioni, ha approvato in via definitiva la Direttiva sulle “Green Claims” o “Rivendicazioni Verdi” che migliorerà l’etichettatura dei prodotti e vieterà l’uso di dichiarazioni ambientali fuorvianti. La normativa, infatti, ha modificato le Direttive 2005/29/Ce (sulle pratiche commerciali sleali) e 2011/83/Ue (sui diritti dei consumatori) per quanto riguarda la “Responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione”. La Direttiva deve ora ricevere l’approvazione del Consiglio ed entrerà in vigore il ventesimo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea. Gli Stati membri, entro 24 mesi dalla data di vigenza, avranno l’obbligo di recepirla nei loro rispettivi ordinamenti nazionali adottando le misure necessarie per conformarsi alla norma europea. Al fine di contribuire al corretto funzionamento del mercato interno, sulla base di sostanziali garanzie in favore dei consumatori e dell’ambiente, è importante che i fruitori possano prendere decisioni di acquisto informate e contribuire a sviluppare modelli di consumo più sostenibili. Ciò implica che gli operatori economici si assumano la responsabilità di fornire informazioni chiare, pertinenti ed affidabili. La nuova normativa europea, dunque, allo scopo di offrire una sempre maggiore tutela agli acquirenti, ha previsto la modifica degli articoli 6 e 7 della Direttiva 2005/29/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, relativi alle pratiche commerciali, per contrastare l’uso di quei comportamenti sleali capaci di impedire ai consumatori il compimento di scelte oculate e sostenibili. 

In particolare, dette pratiche sleali si possono così riassumere: 

  • informazioni ambientali ingannevoli, comunemente indicate come “greenwashing” che, in quanto tali, sono da considerarsi vietate e, una volta individuate, devono sottostare a singole valutazioni selettive. L’intervento dell’Ue si è reso necessario per la crescita esponenziale del fenomeno di greenwashing verificatasi in questi ultimi anni. Il greenwashing, ovvero l’“ambientalismo di facciata”, è una pratica commerciale sleale utilizzata essenzialmente da imprese che si propongono al pubblico come soggetti attenti alle politiche ambientali e sociali, nonostante nella realtà tali attenzioni siano totalmente assenti. Le asserzioni ambientali relative al clima fanno sempre più spesso riferimento alla neutralità in termini di emissioni di carbonio o alla neutralità climatica, dando l’impressione che acquistando i loro prodotti i consumatori contribuiscano a sostenere un’economia con basse emissioni di carbonio. Ai fini della credibilità di tali affermazioni, è opportuno vietare quelle che, a seguito di una valutazione caso per caso, non risultino avvalorate da obiettivi chiari e definiti in un piano di attuazione dettagliato e realistico. Esse, inoltre, debbono essere verificate da un esperto terzo, dotato di competenze in materia ambientale, il quale deve poter controllare periodicamente i progressi compiuti dall’operatore economico, comprese le successive tappe necessarie per conseguire le finalità prefissate. Le aziende debbono anche garantire che i risultati periodici del soggetto terzo siano messi a disposizione dei consumatori. È anche opportuno vietare la formulazione di dichiarazioni ambientali  generiche quali, ad esempio: «rispettoso dell’ambiente», «ecocompatibile», «eco», «verde», «amico della natura», «naturale», «rispettoso degli animali», «cruelty-free», «sostenibile», «ecologico», «rispettoso delle emissioni di carbonio», «climaticamente neutrale», «biodegradabile», «privo di plastica» o asserzioni analoghe che danno l’impressione di un’eccellenza delle prestazioni ambientali senza però fornirne alcuna prova. 

  • Obsolescenza precoce dei beni. Ai fini del miglioramento del benessere economico dei consumatori, è opportuno che le modifiche della citata Direttiva 2005/29/Ce contemplino il divieto delle pratiche associate all’obsolescenza precoce, comprese quelle di obsolescenza programmata, da intendersi come politiche commerciali che comportino la progettazione deliberata di un prodotto con una vita utile limitata, affinché giunga prematuramente ad obsolescenza o smetta di funzionare dopo un determinato periodo di tempo. Peraltro, le pratiche di obsolescenza precoce adottate dalle imprese incidono in modo negativo sull’ambiente, dato che determinano un aumento dei rifiuti di materiali. Di conseguenza il loro superamento ridurrà verosimilmente la quantità di rifiuti, contribuendo ad ottenere una maggiore sostenibilità dei consumi. 

  • Informazioni ingannevoli sui prodotti: durabilità e riparabilità. L’introduzione nella Direttiva 2005/29/Ce del divieto di tali pratiche offre agli Stati membri un altro strumento con cui migliorare la cura degli interessi del consumatore nei casi in cui l’operatore economico non rispetti gli obblighi sulla durata e sulla possibilità di poter riparare i beni prodotti. Un’ulteriore pratica associata all’obsolescenza precoce che merita di essere vietata è quella di indurre il consumatore a sostituire o reintegrare materiali di consumo del prodotto prima di quanto risulti effettivamente necessario. Ad esempio, è opportuno vietare la pratica di sollecitare il consumatore, tramite le impostazioni della stampante, a sostituire le cartucce di inchiostro prima che siano effettivamente esaurite per incitarlo ad intensificare l’acquisto di nuove cartucce. Circa la riparabilità del prodotto va evitata la possibilità di pubblicizzare beni come riparabili quando, all’occorrenza, non lo sono.

  • Marchi di sostenibilità. I marchi di sostenibilità possono riguardare molte caratteristiche di un prodotto, di un processo o di un’impresa, ed è essenziale garantirne la trasparenza e la credibilità. 

È dunque opportuno vietare l’esibizione di marchi di sostenibilità che non siano basati su un sistema di certificazione o che non siano stati approvati ed autorizzati da autorità pubbliche. È importante che le stesse autorità pubbliche promuovano, per quanto possibile e nel rispetto del diritto dell’Unione, misure volte ad agevolare l’accesso ai marchi di sostenibilità certificati anche per le piccole e medie imprese. Nell’Ue la certificazione è oggi disciplinata dal Regolamento (Ce) n. 66/2010 in vigore nei 27 Paesi dell’Unione Europea e nei Paesi appartenenti allo Spazio Economico Europeo (Norvegia, Islanda, Liechtenstein). L’ecoetichetta verde europea a forma di margherita denominata “Ecolabel” è il marchio utilizzato per certificare ed identificare prodotti e servizi che si contraddistinguono per la loro natura ecologica e per il ridotto impatto ambientale durante il loro intero ciclo di vita, dalla produzione al rifiuto. Per ottenere l’Ecolabel bisogna passare attraverso una valutazione del Comitato Europeo per l’Ecolabel e l’Ecoaudit: esso è l’organismo competente per il rilascio del marchio di sostenibilità con il quale l’azienda dimostra e certifica di rispettare i criteri ecologici richiesti sulla base delle procedure normate nella Iso 14040/2021.

Le attività, i servizi ed i prodotti che hanno ottenuto la certificazione vengono inseriti in un catalogo che viene pubblicato sul sito della Commissione europea. Gli ambiti dei prodotti o dei servizi ai quali può venire applicata l’etichetta spaziano dalla pulizia e l’igiene (es. detersivi o detergenti), agli apparecchi elettronici ed agli elettrodomestici; dagli articoli per la casa (es. impianti di riscaldamento, mobili o sanitari), fino ai prodotti tessili ed alla qualità delle strutture ricettive. La relatrice croata Biljana Borzan ha dichiarato che «La Direttiva sulle “Green Claims” cambierà il quotidiano di tutti gli europei. Ci allontaneremo dalla cultura dello scarto, renderemo più trasparente il marketing e combatteremo l’obsolescenza prematura dei beni. Le persone potranno scegliere prodotti più durevoli, riparabili e sostenibili grazie ad etichette e pubblicità affidabili. Soprattutto, le aziende non potranno più ingannare le persone dicendo che le bottiglie di plastica sono buone perché l’azienda ha piantato alberi da qualche parte, o dire che qualcosa è sostenibile ma senza spiegarne il come ed il perché». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Già Dirigente coordinatore del ministero dell’Economia e delle finanze – Ragioneria generale dello Stato, con esperienza amministrativa/contabile nel comparto del Bilancio statale e della Contabilità pubblica nazionale. E’ stato Coordinatore dell’Ispettorato per i Rapporti finanziari con l’Unione europea. Esperto di nuovi modelli aziendali, è autore di numerosi saggi sull’Istituto delle Reti di Impresa. Iscritto al Registro dei Revisori legali presso il Mef e nell’Elenco degli “Innovation Manager” a cura del ministero dello Sviluppo economico. Giornalista

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