In alto, foto tessera di Giacomo Matteotti; sotto il titolo, la piccola targa messa qualche anno fa di fianco alla finestra del suo appartamento dall’architetto Paolo Marocchi in omaggio al martire del fascismo trucidato da cinque aguzzini seguaci di Mussolini

I condomini del palazzo di Via Pisanelli a Roma deliberano a maggioranza di opporsi alla targa che il Comune intende apporre sul muro della casa per ricordare l’uccisione del deputato socialista per mano di una squadraccia fascista a cento anni dal suo martirio. A non andare a genio è la scritta seguente: «In questa casa visse Giacomo Matteotti fino al giorno della morte per mano fascista». Dietro l’attacco alla dimensione della targa si cela in realtà qualcosa di ben più profondo e rilevante, come racconta Alfredo Antonaros ai lettori di “Italia Libera” sotto forma di lettera a un condomino


◆ La lettera di ALFREDO T. ANTONAROS

Caro condomino,

ci mancava, dopo tutte le nostre beghe e liti e interminabili assemblee, anche questa storia della targa. Uffa! Adesso l’assessore alla Cultura Miguel Gotor dice che “se il problema sono le dimensioni della targa il Campidoglio è disponibile a ragionare su una roba più piccola”. Fa il finto sordo quello lì. Noi di via Pisanelli, al Flaminio, l’abbiamo detto chiaro che il problema è uno solo: quella loro lapide è troppo impattante. Il problema non sono le dimensioni ma la scritta: «In questa casa visse Giacomo Matteotti fino al giorno della morte per mano fascista». Ecco cosa ci vuole scrivere il Comune e anche a me, caro condomino, queste parole non vanno bene. Come lei ha ben spiegato in assemblea “troppo impatto” vuol dire che frasi del genere impressionano. Che potrebbero avere un cattivo influsso sui giovani, poveretti.

Poi, diciamocelo chiaro, serve ancora a qualcuno ricordare che un 10 giugno qualsiasi del 1924, alle ore 16:15, sto Matteotti esce da via Pisanelli 40, e poco dopo viene aggredito da cinque individui? Cinque balordi che si chiamavano Amerigo Dumini, Albino Volpi, Giuseppe Viola, Augusto Malacria e Amleto Poveromo. Embè? Serve ancora a qualcuno? E che poi questi cinque lo seppelliscono nella campagna romana servendosi di una lima e del cric dell’auto perché manco avevano un badile. Dopo avergli tagliato il pene, ovviamente, perché l’oltraggio fosse completo. E che subito dopo questi stronzi, per completare l’opera, informano Filippo Filippelli ed Emilio De Bono in modo che anche Mussolini sappia dell’impresa.

Lungotevere Arnaldo da Brescia a Roma, 1924: sul luogo dell’agguato alcuni deputati socialisti rendono omaggio a Giacomo Matteotti ucciso da una squadraccia fascista il 10 giugno di un secolo fa

Ma le pare? che impatto avrebbe sulla gente se la targa servisse poi a qualcuno a ricordare che questo non era neppure il primo assassinio commesso dai fascisti? La prima vittima è stata infatti una donna. Una ragazza di soli 19 anni. Teresa Galli si chiamava. Era una operaia milanese del quartiere proletario della Bovisa. Colpita, vicino a piazza Duomo, da aggressori fascisti, armati con mazze ferrate, pugnali, pistole e bombe a mano. Uccisa insieme all’impiegato diciottenne Pietro Bogni e al garzone sedicenne Giuseppe Luccioni, tutti colpiti da proiettili alla testa. Capisce, caro condomino, che turbamento si potrebbe recare alle giovani generazioni far venire in mente alla gente questa roba? Troppo impattante davvero. Poi chiediamoci una cosa, di cui credo che, prima o poi, se ne dovrà pure discutere in assemblea di condominio, a mio parere: non è che a scrivere all’ingresso, vicino al portone, «morte per mano fascista» ci uscirà poi una qualche ricaduta sul valore immobiliare degli appartamenti? Perché, mi capisce, questo sì che sarebbe davvero impattante. E mi dispiacerebbe davvero. 

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Scrittore di romanzi, drammaturgo, sceneggiatore di film, saggista, direttore di teatro, autore e conduttore tv. Nei suoi romanzi centrale è il tema dell’esilio. Nei suoi saggi si è occupato in particolare dell’evoluzione sociale e culturale dell’alimentazione.

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