L’Italia manca, per pochi decimali, il suo impegno di investire nella “difesa” il 2% del Pil. Detto così sembra poca cosa ma vengono comunque spesi un bel po’ di miliardi. Non siamo un Paese smilitarizzato e non stiamo quindi decidendo di costituire un esercito ma di usare meglio quello che abbiamo. In passato abbiamo avuto un esercito in cui comandavano le furerie, le uniche ad avere un obiettivo “strategico” che consisteva nel dare da mangiare a decine di migliaia di persone, ogni giorno. Oggi, a livello “domestico”, tutti gli eserciti dell’Unione producono sprechi e ottengono risultati modesti: fanno tutti le stesse cose e devono badare ad ogni pericolo possibile o imponderabile. Dividersi il lavoro sarebbe un vantaggio per borse e difesa di tutti. Una prospettiva diversa dai tamburi di guerra suonati ieri dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen
◆ Il pensierino di GIANLUCA VERONESI
►Credo di essere una persona pacifica, più per pigrizia che per bontà. Ma non mi considero un pacifista, se il tutto si limita al porgere l’altra guancia. Improvvisamente tutti parlano di armamenti e dei loro costi, come fossimo di fronte ad una novità assoluta. Il termine “riarmo” con cui viene intitolato il piano europeo oltre che inopportuno (evoca vigilie guerresche) è infatti impreciso. L’Italia manca, per pochi decimali, il suo impegno di investire nella “difesa” il 2% del Pil. Detto così sembra poca cosa ma vengono comunque spesi un bel po’ di miliardi. Non siamo un Paese smilitarizzato e non stiamo quindi decidendo di costituire un esercito ma di usare meglio quello che abbiamo. In una duplice direzione: rendere più efficienti i servizi “interni” e partecipare consapevolmente allo sforzo “continentale” di protezione europea in termini di uomini, mezzi, obiettivi, specializzazioni. Ma non potrà diventare una moltiplicazione di ruoli e di costi.
Oggi a livello “domestico” tutti gli eserciti dell’Unione producono sprechi e ottengono risultati modesti: fanno tutti le stesse cose e devono farsi carico di ogni pericolo possibile o imponderabile.Immagino che in futuro ogni nazione avrà un mandato, dovrà garantire agli altri una vigilanza particolare e specifica, su singoli aspetti. Lo potrà fare perché, a sua volta, sarà esentata da altri obblighi, in virtù della divisione del lavoro. Non sarà facile abituarsi se pensiamo che quasi tutte le nostre guerre sono state intraeuropee, combattute contro nazioni del continente. Non c’è nulla di inedito. Fin dall’immediato dopoguerra – in ambito Nato – ci hanno assegnato delle priorità. Durante la guerra fredda noi italiani vigilavamo il confine Est (anche con organizzazioni segrete tipo Gladio). Finito il comunismo, sorvegliavamo il Mediterraneo e l’Africa del nord con un modello di difesa ovviamente più marinaro. Anche per tenere sotto controllo la sempiterna “vivacità” balcanica.
Si laurea a Torino in Scienze Politiche e nel ’74 è assunto alla Programmazione Economica della neonata Regione Piemonte. Eletto consigliere comunale di Alessandria diventa assessore alla Cultura e, per una breve parentesi, anche sindaco. Nel 1988 entra in Rai dove negli anni ricopre vari incarichi: responsabile delle Pubbliche relazioni, direttore delle Relazioni esterne, presidente di Serra Creativa, amministratore delegato di RaiSat (società che forniva a Sky sei canali) infine responsabile della Promozione e sviluppo. È stato a lungo membro dell’Istituto di autodisciplina della pubblicità.
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