Dopo la guerra etnica tra gli Oromo e gli Amhara nel Tigray che ha insanguinato l’Etiopia per due anni dal 2020, i quattro grandi campi profughi eritrei sono stati sgomberati e dispersi. Il sistema di accoglienza nel nord della regione è stato spazzato via dalle truppe di Isaias Afewerki, da trentadue al potere in Eritrea. Le operazioni delle forze di sicurezza etiopi si sono intensificate con una vera e propria “caccia all’uomo” condotta lungo i confini, per le strade, nelle città, nei quartieri dove i rifugiati sono più numerosi. Fra i fuggitivi il giovane Mussié, partito da Dekameré, la città eritrea a sud di Asmara. Ora è in trappola ad Addis Abeba. Nella seconda parte del racconto di Emilio Drudi, l’allarme del fratello che vive a Bologna
◆ Il racconto di EMILIO DRUDI *
► Mussié è partito da Dekameré, una quarantina di chilometri a sud di Asmara. Per passare il confine etiopico, sul finire del mese di novembre 2024, si è affidato a un trafficante ed è stato incluso in un gruppo di 63 disperati che, in cambio di 6 mila dollari a testa, sono stati accompagnati a piedi fino alla frontiera. Il “passatore” che li guidava aveva assicurato che quel tratto di confine era “sicuro” ma proprio mentre lo stavano attraversando sono stati sorpresi da una pattuglia che ha cominciato a sparare. Nessuno è stato ferito ma la schiera si è rapidamente dispersa. Alcuni sono tornati indietro. Mussié e due compagni si sono addentrati di corsa nel territorio etiopico, allontanandosi il più in fretta possibile dal confine. Dopo un po’ hanno chiesto aiuto a un anziano, che li ha accolti in casa. Sembrava fatta e invece quell’anziano li ha venduti a una banda di trafficanti che hanno preteso da ciascuno 5 mila dollari per il rilascio. La famiglia ci ha messo diverse settimane per procurarsi il denaro ma quando ci è riuscita ha scoperto che Mussié era stato venduto a un’altra banda e per liberarlo sono serviti altri 2.500 dollari. Ora è ad Addis Abeba, ma in trappola: non può tornare in Eritrea perché finirebbe in una delle galere del regime e non riesce a continuare la fuga verso l’Europa perché tutte le vie sono bloccate.
«La condizione dei profughi eritrei in Etiopia è da incubo, simile a quella della Libia», dice il fratello che lo ha raggiunto dall’Italia. «Il sistema di accoglienza che funzionava da anni è stato spazzato via dalla guerra in Tigray. I quattro grandi campi che erano nel nord della regione non esistono più: devastati e sgomberati dalle truppe d’invasione di Afewerki, non sono stati mai riaperti. Nello stesso tempo il governo federale etiopico, sulla scia dell’alleanza con Asmara, ha cancellato le norme che garantivano lo status di rifugiati agli eritrei i quali, privi ormai di qualsiasi forma di tutela, sono esposti ad ogni genere di soprusi. Durante la guerra ci sono state persino numerosi arresti effettuati in Etiopia dalla polizia di Asmara. Ora queste retate condotte dagli eritrei sono finite ma si sono fatte sempre più stringenti e sistematiche le operazioni delle forze di sicurezza etiopi: una vera e propria “caccia” condotta lungo i confini, per le strade, nelle città, nei quartieri dove i rifugiati sono più numerosi. E quasi sempre gli arrestati vengono rimpatriati contro la loro volontà. Ci sono state almeno due deportazioni di massa, con un totale di oltre 700 disperati consegnati alla dittatura da cui erano fuggiti e praticamente ‘spariti’. Di loro non si sa più nulla».
(*) L’autore dirige www.nuovidesaparecidos.net