Da una trentina d’anni si cerca di prevedere le migrazioni climatiche. Ma, a quanto pare, non siamo in grado di farlo con precisione. Secondo l’Institute for Economics and Peace (Iep), un centro di ricerche australiano, gli esseri umani in movimento entro il 2050 saranno intorno al miliardo e oltre. Guglielmo Ragozzino ha scavato intorno a questa cifra e ai ragionamenti svolti dall’Iep: i numeri sembrano esatti. Tra guerre, minacce ambientali, competizione alimentare e stress idrici aumenteranno i trasferimenti di massa, esponendo i paesi sviluppati alle conseguenze di un afflusso continuo di rifugiati e migranti. Siamo pronti a gestirli con umanità e sapienza? “Per riflettere come governare migrazioni e politiche di adattamento, piuttosto che perdere tempo a farne i conti”, la realtà è sempre bene guardarla in faccia per quella che è…


◆ L’analisi di GUGLIEMO RAGOZZINO

(Segue da ieri) 4. Le popolazioni emigrano anche per bisogni diversi dalla ricerca di lavoro, in una Terra occupata per lo più, ancora in secoli recenti, da agricoltori: persone legate, per dirla in modo semplice, alla coltivazione e all’allevamento, alla caccia e alla pesca. Una cattiva annata, niente pioggia per mesi e mesi, oppure bufere ripetute e inondazioni, obbligano le famiglie che vivono del loro lavoro e del prodotto dei campi, a fuggire dall’insopportabile carestia, e muoversi con le povere masserizie; o almeno selezionare chi, più gagliardo, oppure più dotata, partendo, aiuterà l’intera larga famiglia, trovando fortuna là dove si è più ricchi o meno colpiti dalla sorte avversa, lontano dalla carestia, dentro e fuori i confini del paese. Se questo è il caso più concreto, vi sono anche le guerre, le scorrerie dei pirati marittimi e terricoli, i dissidi religiosi. La geografia politica e anche la storia dei nostri ricchi paesi è stata scritta anche così. Tutte queste condizioni miserevoli si concretano, per i perdenti, per i deboli, in fame, in mancanza di sicurezza nel domani, nel domani dei figli. Dunque, si parte. Si cerca un altro luogo. A conti fatti, una volta ritrovato un assetto un po’ più accettabile, ci si accorge che manca ancora tutto, cresce la fame, non c’è più acqua pulita che basti per tutti, non ci sono cure, né scuole sufficienti. Altre partenze si rendono necessarie, altre divisioni dolorose, altre esperienze, altre conquiste.

5. “Immigration” è invece il titolo di una recente raccolta, di scuola francese, (il sottotitolo di “Immigration”, publicato dal “Monde diplomatique” nei supplementi della serie Manière de Voir – 194, aprile maggio 2024 – è “Illusions, confrontations, instrumentalisations”) e offre anche così un quadro del materiale proposto. I testi son brevi saggi, pochi inediti, gli altri sono apparsi, nel corso di un decennio, sulle pagine del mensile.

Un’utile lettura è uno dei testi inediti, “Climat, facteur démoltiplicateur”, dovuto ad Angélique Mounier-Kuhn. L’autrice osserva che la nozione di migrazione climatica non esiste ancora nel diritto internazionale delle migrazioni, ma solo nella coscienza collettiva dei popoli che dalle migrazioni sono toccati. Anche i ricercatori sono incerti. La necessità di introdurre un fondo di compensazione per i disastri naturali è ben presente tra i cultori della materia, anche se è opinione comune che i migranti per guai climatici di rado arrivino alla frontiera; più spesso si fermano, appena possono, nelle accoglienti pianure conosciute, senza affrontare gente straniera e una diversa lingua oltre confine. Mounier-Khun cita poi Guénolé Oudry, responsabile dei progetti migrazioni e sviluppo all’Agenzia francese dello sviluppo (Afd). «Queste tematiche si iscrivono in una doppia tensione, quella del clima e della migrazione, due aspetti a forte richiamo politico, che ne fanno un sistema eminentemente esplosivo». Così scrive Oudry. Essa conclude però in un modo disarmante: «…da una trentina d’anni si cerca di prevedere le migrazioni climatiche. Dobbiamo solo ammettere che non siamo in grado di farlo. …Sono però sempre più numerose le persone che pensano sia arrivato il momento di sviluppare un approccio più qualitativo per riflettere come governare migrazioni e politiche di adattamento, piuttosto che perdere tempo a farne i conti”». 

In modo meno brusco Mounier-Khun suggerisce dapprima un punto di avvio alle migrazioni climatiche. Il punto è quello ben noto delle popolazioni delle isolette oceaniche, costrette ad evacuare per la crescita del livello dell’Oceano. In particolare siamo messi di fronte a un caso limite, quello della popolazione di Gardi Sugdub. Pochissimi isolani, abitanti nella loro isolina al largo di Panama. La loro storia è questa: nel giro del tempo la febbre gialla ha costretto questo brandello del popolo autoctono Guna ad abbandonare le paludi della costa, loro luogo vitale, per cercare rifugio in mare. Circa 1.300 son quelli che sono riparati nell’isola prima indicata, un’isola sicura ma assai piccola, lunga 400 metri e larga 150. (Una Gaza in miniatura.) Ma l’avventura non è finita: «la moltiplicazione delle tempeste e l’innalzamento del livello del mare rendono ben presto la vita impossibile a Gardi Sugdub. La comunità si è rassegnata alla sola scelta ragionevole: un ritorno sul continente, dove il governo di Panama ha iniziato la costruzione di un villaggio con nuove abitazioni nelle quali, con molti ritardi e contrattempi amministrativi, i Guna dovranno presto trasferirsi».

6. La piccola, miserevole vicenda dei Guna e della loro minuscola isola insegna come i calcoli siano imprecisi di fronte alle scelte, mutevoli per il nostro livello di conoscenze, o se si preferisce, di fronte agli avvenimenti, alle trasformazioni, ai disastri che sovrintendono alla nostra vicenda di popolazioni umane del mondo. Abbiamo scelto una quadratura scientifica, l’antropocene, rispetto alle impostazioni rivali: capitalocene oppure olocene, ma ugualmente risulta impossibile proporre dei numeri significativi, accettabili. Munier-Khun, persona capace di ragionare, mostra tutta la nostra difficoltà nel prevedere cosa accadrà nel 2040, 2050, anni assai vicini, dal punto di vista del maggiore dei problemi: quanti saranno allora gli immigrati. La nostra autrice suggerisce tre cifre, per il 2050, originate da tre diversi modi di pensare: il più ottimistico – se prevale l’ideologia dei pochi immigrati – è di alcuni milioni di immigrati, poche decine di milioni in tutto. Poi ci viene suggerito l’importo calcolato dall’accreditata associazione Oxfam nell’ordine di 160 milioni. Infine è preso in considerazione e ci si richiede di riflettere sul miliardo e oltre di esseri umani suggerito dall’Institute for Economics and Peace, un centro di ricerche australiano.

7. Maligni come siamo, siamo andati alla ricerca dell’Institute for Economics and Peace, (Iep) per imparare finalmente qualcosa di concreto: come si arriva al miliardo abbondante di migranti indicato da quest’ultimo istituto australiano. L’Iep parla chiaro: oltre un miliardo di persone sono a rischio di essere trasferiti (dal luogo originario) entro il 2050 dunque entro 25 anni che, a ben vedere, poi erano 30 al momento dello studio dello Iep, elaborato nel 2020, anno, come si ricorderà, di esplosione della pandemia globale.

Il ragionamento verte su sei punti essenziali: in primo luogo 19 dei paesi più minacciati da catastrofi ecologiche ambientali fanno parte del gruppo di 40 considerati meno pacifici, tra cui Afghanistan, Siria, Iraq, Pakistan. In secondo luogo oltre 1 miliardo di persone vive in 31 paesi in cui l’assetto è decisamente insufficiente ad affrontare evenienze ambientali probabili entro il 2050, senza che sia stato possibile mettere in piedi qualcosa che eviti la fuga in massa della popolazione. In terzo luogo, Africa a Sud del Sahara, Asia del Sud, paesi del Mena (Medio Oriente, Nord Africa) sono regioni fortemente a rischio di minacce ambientali. In quarto luogo, per il 2040 5,4 miliardi di persone, oltre metà della popolazione globale, vivrà in 59 paesi con alto stress idrico, India e Cina comprese. In quinto luogo, ben 3,5 miliardi di persone potrebbero soffrire la fame, molte di più del miliardo e mezzo di oggi (2020). In sesto luogo, la fragile resilienza dei paesi più spesso presi in considerazione dagli studi, peggiorano la sicurezza alimentare e aumentano la competizione per le risorse nei disordini civili, aumentando i trasferimenti di massa, esponendo i paesi sviluppati alle conseguenze di un afflusso continuo di rifugiati e migranti.

8. Tutto considerato, i paesi dell’Europa ricca, rumeni compresi, (assai meno ricchi dei veri ricchi dell’Unione) temono di dover affrontare le elezioni europee di questo fine settimana con un voto negativo. Esso voto europeo è temuto tanto dai partiti anti migranti che saranno criticati per non aver fatto abbastanza per alzare il gran muro europeo, quanto dai loro avversari pro migranti, la cui politica è del tutto confusa e poco credibile. Nessuno che dica: venite, vi aspettiamo, abbiamo bisogno di voi. Insieme possiamo costruire un futuro più giusto. — (2. fine; la prima parte è stata pubblicata qui ieri)

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Il saggio di Guglielmo Ragozzino è stato pubblicato il 17 maggio 2024 su “Sbilanciamoci – L’economia com’è e come può essere”, con il titolo “La ricchezza dei popoli, cuccagna dei migranti?”, che qui ringraziamo

Scrive attualmente su “il manifesto” e cura l’edizione italiana di “Le Monde diplomatique” e dei testi collegati, come gli “Atlanti” su geopolitica e ambiente. È stato redattore di “Problemi del socialismo”, la rivista di Lelio Basso, ha poi diretto “Fabbrica e stato”, rivista della sinistra sindacale e in seguito “Politica ed Economia”. Ha curato la pubblicazione di “Cent’anni dopo”, dialogo sulla Cgil tra Vittorio Foa e Guglielmo Epifani (edizioni Einaudi, 2006) e inoltre ha scritto, insieme a Gb Zorzoli, un libro sul petrolio, “Un mondo in riserva” (Franco Muzzio Editore, 2006).

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