In un periodo in cui si pubblicano più libri di quanti se ne leggano, questo saggio intrecciato alla vita dell’autore ripercorre decenni di sfide dell’intelligenza verso le negligenze di un’umanità ingorda e supponente convinta di poter gestire e guidare tutte le scelte, comprese quelle del ritmo della Natura, cioè della vita vera e profonda. La Liguria delle origini diventa l’alto cuneese, la montagna delle estati di un fanciullo curioso. Diventa il Piemonte, la Torino del boom economico, l’hinterland che perde le proprie identità per l’incontinenza di una città che vorrebbe essere riconosciuta come metropoli ma città resta. Diventa situazioni di apparente follia in cui la tutela ambientale viene calpestata dagli interessi di pochi, forme improvvisate di oligopoli che negli anni si mostreranno invece come pilastri robusti e centrali di un sistema che tutto permea, controlla e dirige. Un libro amaro capace di sferrare ancora un pugno nello stomaco che aiuta a riprendere contatto con la realtà, offrendo lo spunto per evitare errori già compiuti da altri. Da gustare a fine pasto come un vino da meditazione
◆ La recensione di ALESSANDRO MORTARINO
► Da pochi giorni Lar Editore ha pubblicato l’ultimo lavoro di un nostro abituale compagno di strade, Fabio Balocco, dall’intrigante titolo “Bianco, benestante, ambientalista. Natura e società a cavallo di due secoli“; un libro che analizza in forma divulgativa i cambiamenti epocali a cui l’Autore ha assistito nel corso della sua vita sia nell’ambiente sia nella società. Ma lo fa partendo da spunti di vita personali, e per questo il complesso lavoro ha comportato una notevole partecipazione emotiva. Si tratta di “un biosaggio“, cioè biografia più saggio − come ama definirlo Balocco − che nel corpo del suo lavoro alle parole aggiunge e integra anche inserti di narrativa e foto sparse.
Un libro da leggere, cosa non sempre scontata in un’era in cui la produzione letteraria spesso travalica la massa di fruitori potenziali raggiungibili finendo per configurarsi in un esercizio quasi da lettino dello psicanalista, uno stream of consciuness o flusso di coscienza utile per chi scrive e, spesso, solo per lui. Un libro da leggere perchè ripercorre decenni di sfide dell’intelligenza verso le negligenze di un’umanità ingorda e supponente convinta di poter gestire e guidare tutte le scelte, comprese quelle del ritmo della Natura, cioè della vita vera e profonda. Un libro che parla da “ambientalista” e viviseziona gli ultimi decenni dell'”ambientalismo”, termini che forse andrebbero banditi e che la prefazione di Maurizio Pagliassotti registra con un pensiero nostalgico assolutamente condivisibile: «Sarebbe bello se l’ambientalismo passasse: come una brutta febbre, come una brutta cotta delusa che, poco a poco, va via. …Ci si aggrappa ai “No”, che diventano il cuore di un modus vivendi fondato sulla speranza che da soli si possa fermare tutto».
Nel suo “biosaggio“, Balocco traccia un percorso che origina nel 1953 in quel di Savona, luogo e data della sua stessa nascita, e da qui si dipana lungo il sentiero di una non-evoluzione collettiva che non nasconde corde di amarezza e di frustrazione: «non so se sono depresso perché sono ambientalista, o se sono ambientalista perché sono depresso. E comunque resta il dato di fatto inconfutabile che se sei depresso sarebbe bene che non fossi anche un ambientalista. Perché essere ambientalisti significa essere perdenti». La Liguria delle origini diventa l’alto cuneese, la montagna delle estati di un fanciullo curioso. Diventa il Piemonte, la Torino del boom economico, l’hinterland che perde le proprie identità per l’incontinenza di una città che vorrebbe essere riconosciuta come metropoli ma città resta. Diventa situazioni di apparente follia in cui la tutela ambientale viene calpestata dagli interessi di pochi, forme improvvisate di oligopoli che negli anni si mostreranno invece come pilastri robusti e centrali di un sistema che tutto permea, controlla e dirige. In cui obiettare equivale a chiamarsi fuori, manifestarsi diversi, essere indicati, costringersi non all’Aventino ma ad una reazione che obbliga a considerare indispensabile indossare corazze e brandire le armi. Quelle della ragione e non dell’offesa.
Ma dove inizia l’amarezza e il senso della sconfitta e dove inizia − invece − il pugno nello stomaco, la secchiata d’acqua fredda che aiuta a riprendere contatto con la realtà e offre lo spunto per una nuova rincorsa che parte dalla certezza di sapere cosa ci aspetta e quali errori − già commessi da altri − possiamo evitarci? Un libro, insomma, che l’Autore vorrebbe farci credere come l’ultimo bicchiere di amaro indispensabile per tentare di digerire i postumi di una cena troppo ardita. Invece – forse − un semplice aperitivo. Da gustare con meditazione.