La locandina della serie diretta da Peter Berg con Taylor Kitsch e Betty Gilpin

Le sei puntate in streaming su Netflix raccontano un episodio reale della storia americana, la guerra che tra il 1857 e il 1858 insanguinò lo Utah, coinvolgendo i mormoni, i coloni provenienti dall’Est, l’esercito degli Stati Uniti e le tribù indiane della zona. Il clou si consumò a Mountain Meadows dove i mormoni, mascherati da indiani, sterminarono i membri di una carovana penetrata in un territorio che ritenevano loro. Nel suo scrupolo filologico, il regista Peter Berg ci dice che quelle violenze accaddero davvero e in quelle forme crude interpretate sul set dal cast della serie. La storia vera di una America che considerava normale l’uso senza regole delle armi e la sopraffazione nei confronti dei più deboli. Ancora oggi lo Utah è in mano ai mormoni


◆ La recensione di BATTISTA GARDONCINI

Il titolo inglese, “American Primeval”, è rimasto invariato anche nella versione italiana di Netflix per la difficoltà di tradurlo in modo adeguato. Letteralmente significherebbe “Le origini dell’America”, ma ha anche una connotazione di natura più profonda, che fa riferimento al modo di essere di una nazione. E questo in realtà descrivono la sei tostissime puntate di questa serie Tv dedicata a un episodio reale della storia americana, la guerra che tra il 1857 e il 1858 insanguinò lo Utah, coinvolgendo i mormoni, i coloni provenienti dall’Est, l’esercito degli Stati Uniti e le tribù indiane della zona. Una guerra che non ebbe vere battaglie, ma di massacro in massacro — famoso quello di Mountain Meadows, dove i mormoni mascherati da indiani sterminarono i membri di una carovana penetrata in un territorio che ritenevano loro —  portò a un compromesso favorevole alla nuova religione. Ancora oggi, infatti, lo Utah è uno stato governato dai mormoni.

Questi avvenimenti vengono raccontati con notevole scrupolo filologico dalla serie, che vede tra i protagonisti alcuni personaggi realmente esistiti, come il capo mormone Brigham Young e il trapper Jim Bridger, che per primo si era insediato in quei territori costruendovi un forte. Molti l’hanno accusata di essere eccessivamente violenta. E in effetti alcune scene lo sono. Ma non sono mai fine a se stesse, perché il regista Peter Berg le ha inserite in un discorso più ampio. Quelle violenze accaddero davvero, e in quelle forme. Erano comuni — ci dice Berg — in una America che considerava normale l’uso senza regole delle armi e la sopraffazione nei confronti dei più deboli.

Non è certo un caso, dunque,  che proprio le vicissitudini di una donna e del suo bambino, in fuga dalla violenza cittadina, siano al centro della serie. Aiutati da un outsider, un bianco allevato dagli indiani, sono gli unici personaggi integralmente positivi. E alla fine dimostreranno di essere tutt’altro che deboli. © RIPRODUZIONE RISERVATA

(*) L’autore dirige oltreilponte.org

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Giornalista, già responsabile del telegiornale scientifico Leonardo su Rai 3. Ha due figlie, tre nipoti e un cane. Ama la vela, la montagna e gli scacchi. Cerca di mantenersi in funzione come le vecchie macchine fotografiche analogiche che colleziona, e dopo la pensione continua ad occuparsi di scienza, politica e cultura sul blog “Oltreilponte.org”.

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