Nel nostro Paese consumiamo 252 litri pro-capite all’anno di acqua minerale rispetto ai 106 litri della media europea. Secondo l’Istat, tra il 2022 e il 2023 le perdite nelle reti pubbliche di acqua potabile ammontano a circa 3,4 miliardi di metri cubi di acqua potabile di qualità eccellente e avrebbero potuto soddisfare le esigenze idriche di 43,4 milioni di persone per un anno intero. Uno spreco enorme, se si considera che l’acqua dei nostri rubinetti – secondo l’ultimo rapporto di metà luglio dell’Istituto superiore di sanità – è conforme ai parametri di legge nel 99,1% per i parametri sanitari microbiologici e chimici, e nel 98,4% per i parametri non correlati alla salute. Eppure il 70% degli italiani preferisce l’acqua in bottiglia benché costi seimila e trecento volte in più al litro rispetto a quanto paghiamo l’acqua che sgorga dal rubinetto di casa. E ben 127mila volte in più se la bottiglietta è di mezzo litro. Una follia, tanto più se si aggiunge che le acque minerali hanno limiti normativi su 16 sostanze, mentre le acque potabili comunali devono essere valutate rispetto a oltre 40 elementi che non devono superare il valore di soglia fissato dalla legge
◆L’analisi di VITO AMENDOLARA
► È certificato da tutte le statistiche: i più grandi consumatori di acque minerali in Europa e nel mondo sono gli italiani con 252 litri pro-capite annuo, a fronte dei 106 litri della media europea (fonte Acquitalia). La dimensione mondiale del fenomeno si presenta con dati molto eloquenti: in soli 10 anni, tra il 2010-2020, il consumo dell’acqua in bottiglia è cresciuto del 73% e raddoppierà entro il 2030; e, secondo le previsioni dell’Unu Inweh (United Nations University Institute for Water, Environment and Health), comunicate dal Direttore Kavek Madani, le vendite saliranno a 500 miliardi di dollari a fronte degli attuali 270. Un dato economico rilevante che rappresenta solo una faccia della medaglia, al contrario dell’altra faccia poco osservata e, a volte, evidenziata con grande superficialità, benché più di 2 miliardi di persone nel mondo non abbiano accesso all’acqua potabile gestita in modo sicuro.
Secondo l’ultimo report Istat, pubblicato a marzo 2024, le perdite nelle reti comunali di distribuzione di acqua potabile, nell’anno 2022-23, avrebbero potuto soddisfare le esigenze idriche di circa 43,4 milioni di persone per un intero anno, questo significa che, per ogni 100 litri immessi nella rete, 42 si perdono per strada “inondando” il nostro Paese con circa 3,4 miliardi di metri cubi di acqua potabile di qualità eccellente. La conferma del valore inestimabile di questo patrimonio prezioso, è data dai risultati contenuti nel primo rapporto sulla qualità dell’acqua dell’Istituto Superiore di Sanità, pubblicato il 16 luglio scorso, che ha promosso a pieni voti l’acqua del rubinetto, dopo aver effettuato circa 2,5 milioni di analisi chimiche, chimico-fisiche e microbiologiche in 18 regioni incrociando il 90% della popolazione italiana.
Una contraddizione in termini che provoca danni pesanti alle tasche, alla salute, all’ambiente. Un litro di acqua del rubinetto costa 0,002 euro, a fronte dello 0,15 euro al litro dell’acqua minerale, vale a dire il 6.335% in più, per le bottigliette da mezzo litro i valori salgono a 1,5 euro a bottiglietta ovvero 3 euro a litro con il 127.118% in più rispetto all’acqua del rubinetto il cui costo, oltre ad essere più basso del 40% della media europea, comprende anche il servizio idrico nazionale pagato dal contribuente.
A fronte dell’esorbitante costo delle acque in bottiglia, va sottolineato che le normative che regolano i parametri qualitativi delle acque potabili sono diversi. Mentre le acque minerali in bottiglia devono rispondere ai requisiti previsti dal decreto ministeriale 10 febbraio 2015, le acque potabili comunali sono assoggettate al più stringente e attuale Decreto legislativo n. 18/23. Questo si riflette nei diversi limiti e parametri da rispettare: mentre le acque minerali hanno limiti normativi su 16 sostanze, le acque potabili comunali devono essere valutate rispetto a oltre 40 elementi che non devono superare il valore di soglia imposto dalla normativa. Una bella differenza.
Nonostante la qualità, il costo e i livelli di sicurezza, i consumatori italiani si ostinano a non bere l’acqua di casa. Complice di tale stato di cose una pubblicità a volte aggressiva, che con claim accattivanti, immagini che destano forti emozioni e promesse mirabolanti, invitano a consumare le acque minerali detentrici, a loro dire, di proprietà taumaturgiche, che sono contenute in maniera naturale nelle acque del rubinetto di casa. In questa infodemia pubblicitaria, non è un tema ricorrente quello relativo ai gravi danni alla salute, provocate dalla potenziale assunzione di micro plastiche e di nanoplastiche (un mondo sconosciuto) contenute nelle bottiglie trasportate in giro per l’Italia e parcheggiate spesso in depositi non idonei.