Un bilancio inadeguato quello del summit conclusosi in Egitto a inizio settimana. Stiamo continuando «la strada verso l’inferno con il piede sull’acceleratore» (Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu). Ma “di Cop in Cop”, qualcosa si muove nonostante la resistenza delle lobby dei combustibili fossili. Anche se è lontano dagli obiettivi necessari, c’è un progresso che va segnalato nella politica di contenimento della crescita della temperatura globale del Pianeta. Ed è la prima volta che viene riconosciuto unanimemente il loss & damage, cioè il diritto al “risarcimento” ai Paesi resi fragili dal cambiamento climatico. Anche in questo caso la Ue ha fatto da apripista. E le Nazioni Unite sono l’unica sede internazionale in cui si riescono a firmare impegni, accordi e anche a prendere decisioni globali sul tema dei temi, quello della «strada verso l’inferno»


Il commento di MASSIMO SCALIA

GLI STRILLI SONO partiti prima, e credo che grandineranno più intensi ora che Cop27 si è conclusa. Sono le critiche degli ambientalisti sull’inadeguatezza delle misure concordate, sulla tenace difesa dei combustibili fossili da parte di tutti i Governi interessati e sul fatto che anche con Cop27 stiamo continuando «la strada verso l’inferno con il piede sull’acceleratore» (Antonio Guterres, segretario generale dell’Onu). Molte di quelle critiche sono giuste, ma la realtà si muove, seppure inadeguatamente, nel modo equilibratamente esposto da Gianni Silvestrini su Italia Libera del 20 novembre [leggi qui]. 

Attivisti per ottenere il fondo loss&damage

Nello spartito ufficiale dell’evento era scontata anche l’irrilevanza del Governo italiano, che, con buona pace della proclamata “sovranità energetica”, non riesce a starci neanche in coda alla Germania. Certo, se i tedeschi restano a Sharm nella fase finale con Scholtz e noi con Pichetto Fratin — che richiama al più un mobile francescano in una tenda —, una Giarabub è scontata. E senza eroi. Oddio, anche Draghi, con quel suo largo sorriso a bocca serrata, se l’era giocato quel “non c’è più tempo”, che era andato tanto di moda un anno fa tra il G20 di Roma e Cop26 a Glasgow. Giocato, nel senso letterale della parola. 

Ogni ulteriore riflessione su Cop27 corre il rischio del deja vu, anzi deja entendu, mentre bisognerebbe sempre ricordare che le Nazioni Unite sono l’unica sede internazionale in cui si riescono a firmare impegni, accordi e anche a prendere decisioni globali sul tema dei temi, quello della «strada verso l’inferno». Provvedimenti inadeguati, insoddisfacenti, ma pur sempre un qualcosa che configura quella governance mondiale che ha portato a fissare l’obiettivo di contenere entro 1,5 °C l’incremento della temperatura. Ma ci stiamo già arrivando! Sì, ma senza quelle indicazioni, quegli intendimenti, quelle azioni che hanno faticosissimamente costellato il percorso l’avremmo già superato da tempo. 

Manifestazione degli ambientalisti per ottenere impegni concreti e stringenti per contenere l’innalzamento della temperatura globale del Pianeta

Che le lobby dei fossili modifichino le loro politiche industriali con sostanziali cambiamenti verso le rinnovabili e non con irritanti greenwashing, non facciano insomma il loro sporco mestiere, è come attendersi la libertà per tutti in un regime schiavista. Che gli Stati sappiano, se non anteporre almeno collimare quelli che proclamano interessi nazionali con gli obiettivi globali, di interesse vitale per tutti, attiene a una visione erasmiana di un’umanità razionale e consapevole della sorte collettiva. Quanto siamo lontani da ciò — su tutti i grandi temi, a partire da pace, fame nel mondo e uguaglianza dei diritti, e nei tormentati continenti dove si sta svolgendo la terza guerra mondiale “a pezzi”, per citare Papa Bergoglio — fa apprezzare i passi che si riescono a fare di Cop in Cop. L’ultimo, in Cop27, è la prima volta che — la Ue facendo come sempre da apripista — viene riconosciuto unanimemente il loss & damage, cioè il diritto al “risarcimento” ai Paesi resi vulnerabili, fino al rischio della loro sparizione, dal global warming acceso a colpi di fossili dai Paesi industrializzati. Un criterio che era stato rifiutato, in particolare dagli Stati Uniti, e che, accettato, apre la strada a definire quali Paesi si debbano intendere “in via di sviluppo”, nel qual novero risulterà sempre più inaccettabile considerare l’altro impero che contende agli Usa il dominio del mondo: la Cina.

Non è il prediligere sempre il “bicchiere mezzo pieno”. È che anche nella filigrana di Cop27 è sembrato emergere, non come volontà politica formalmente espressa da quella sede ma per molteplici cenni, che «il piede dall’acceleratore» bisogna sbrigarsi a toglierlo. E una cartina al tornasole sarà registrare come molti provvedimenti, molte decisioni industriali e molte politiche economiche assumeranno, nel mondo, come anno di riferimento per la valutazione di quanto si realizza per davvero e sul come procedere il 2025, il 2030 restando una facciata ufficiale. Illusione erasmiana? Beh, a proposito di Erasmo, un’indicazione del genere è già stata data da Next Generation Eu in attuazione dei vari Pnrr.

Sono in atto colossali spostamenti delle aree di interesse geopolitico, difficili valutarne appieno le conseguenze. Ma è un mondo in movimento. E di sicuro continueranno a muoversi gli stakeholder, che da almeno trent’anni si mobilitano ogni giorno per incidere su tutti i livelli di governo — locale, nazionale, globale — con le loro proposte e la loro cultura. Forzando a rimuovere il piede dall’acceleratore. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Scienziato e politico, leader del movimento antinucleare e tra i fondatori di Legambiente. Primo firmatario, con Alex Langer, dell’appello (1984) per Liste Verdi nazionali. Alla Camera per i Verdi (1987-2001) ha portato a compimento la chiusura del nucleare, le leggi su rinnovabili e risparmio energetico, la legge sul bando dell’amianto. Presidente delle due prime Commissioni d’inchiesta sui rifiuti (“Ecomafie”): traffici illeciti nazionali e internazionali; waste connection (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin); gestione delle scorie nucleari. Tra gli ispiratori della Green Economy, è stato a fianco della ribellione di Scanzano (2003) e consulente scientifico nelle azioni contro la centrale di Porto Tolle e il carbone dell’Enel (2011-14). Co-presidente del Decennio per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile dell’Unesco (2005-14). Tra i padri dell’ambientalismo scientifico, suo un modello teorico di “stato stazionario globale” (2020) (https://www.researchgate.net/profile/Massimo-Scalia)

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