Ultimo in concerto (foto di Gioia Parmigiani)

I giovani sono per definizione ingovernabili. Vogliono sentirsi indipendenti. Al menù degustazione preferiscono quello alla carta. Vogliono mettere insieme carne e pesce, anche contro le regole. Vogliono piluccare qua e là, bilanciare pro e contro, liberi di contraddirsi. Un tempo era la famiglia che contribuiva ad orientare i suoi adolescenti, persuadendoli ma anche offrendo loro una occasione in più di contestazione. Oggi invece sono proprio i genitori i primi indecisi, il famoso: “non so proprio cosa consigliarti”. Perché i giovani di oggi sono la prima generazione che non riceve più un’eredità “ideologica”. E l’“ansia da futuro” sollecita i giovani a cercare nuove risposte a problemi antichi


◆ Il pensierino di GIANLUCA VERONESI

Dunque la metà degli italiani (è utile ricordare in quanti votano) sembrano privilegiare il bipolarismo. C’è un giovane cantante che ha deciso di chiamarsi “Ultimo”. Fosse il vero nome, potresti pensare che sia l’autoesortazione che i genitori di una famiglia già troppo numerosa si sono fatti al momento del suo concepimento. È probabile, invece, che sia una dichiarazione di modestia, l’indicazione che non vuol partecipare alla crudele competizione per la scalata al successo. Forse è  per questo che riempie palazzetti e stadi. Lo hanno intervistato e ha detto due cose importanti. La prima è che non conosce nessuno tra i suoi coetanei che vada a votare e nessuno che vada in chiesa la domenica. La seconda è che i giovani non ne possono più di dover ragionare solo in termini di destra e sinistra, di essere ingabbiati in uno schema che ha solo due alternative (per di più vaghe, ottocentesche, inadeguate ai tempi).

Gli adulti i giovani li tirano da una parte o dall’altra. Vogliono etichettarli prima possibile per non pensarci più. Una appartenenza immodificabile e fideistica che li definisca. La firma di un contratto che impegna per sempre e che, in compenso, ti garantisce privilegi, precedenze, raccomandazioni, difesa incondizionata. In cambio verrai disturbato solo in periodo elettorale. Una polizza di assicurazione sulla vita. Un documento di riconoscimento che dichiari automaticamente i tuoi valori e i tuoi gusti, la tua etica e la tua estetica, insomma precisi la tua “nazionalità”.

Ma i giovani sono per definizione ingovernabili. Vogliono sentirsi indipendenti. Al menù degustazione preferiscono quello alla carta. Vogliono mettere insieme carne e pesce, anche contro le regole. Vogliono piluccare qua e là, bilanciare pro e contro, liberi di contraddirsi. Un tempo era la famiglia che contribuiva ad orientare i suoi adolescenti, persuadendoli ma anche offrendo loro una occasione in più di contestazione. Oggi invece sono proprio i genitori i primi indecisi, il famoso: “non so proprio cosa consigliarti”. Perché i giovani di oggi sono la prima generazione che non riceve più un’eredità “ideologica”.

Il difetto dell’ideologia è che una volta che hai convenuto su due o tre questioni “dirimenti” e fondative sei costretto a comprare il pacchetto completo. Devi adottare il comportamento preciso, previsto per ogni circostanza e rispondere secondo la “regola” anche di fronte all’inedito, all’inaspettato. Un “organicismo” impensabile al giorno d’oggi. Qualsiasi risposta ai problemi del mondo deve tenere conto, oggi, di mille aspetti scientifici, tecnologici, etici in continua evoluzione. Chi è in grado di fornirti un vademecum completo ed efficiente in ogni istante e per ogni problema? In realtà è più facile di quanto si pensi. Basta tenersi informati su chi sia il tuo nemico del momento e dare ogni responsabilità a lui. In realtà è il nemico del tuo amico, del tuo garante, del tuo ideologo. Tu puoi anche non sapere nulla di lui ma sono pronte e a disposizione mille colpe, mille misfatti a lui attribuibili.

Le ideologie, per mantenere il monopolio, usavano alcune parole tabù. La più efficace era “incoerenza”. Come puoi prenderti delle libertà di pensiero dopo che anni addietro (ma in circostanze molto diverse) avevi detto altro? Ti senti in colpa perché appari in contraddizione con te stesso anche se non capisci esattamente che consequenzialità ci sia tra accadimenti con modalità, tempi e luoghi differenti.

Rimane una questione irrisolta da spiegare ai nostri giovani renitenti al voto. Perché li si spinge verso un bisogno di appartenenza (che spesso assomiglia alla delega), verso una semplificazione (quasi banalizzazione) delle questioni complesse? Semplicemente perché è quello che abbiamo fatto noi. Man mano che il mondo si complicava, tanto più sentivamo il bisogno di far parte di una squadra che ci fornisse certezze, scenari sereni e pacificati, verosimili speranze di benessere. C’è però un problema: l’ansia da futuro ha indotto la generazione precedente a rinchiudersi in qualche ortodossia, affidandosi pigramente alle risposte preordinate, ai facili slogan, ai salvatori della patria. La stessa ansia sollecita i giovani a cercare invece nuove risposte a problemi antichi, non accontentandosi delle vecchie ricette e non preoccupandosi di apparire “dilettanti allo sbaraglio”.

Rimaniamo difensori del dubbio perché senza di esso non può esserci dialettica che è pur sempre la base della libertà. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Si laurea a Torino in Scienze Politiche e nel ’74 è assunto alla Programmazione Economica della neonata Regione Piemonte. Eletto consigliere comunale di Alessandria diventa assessore alla Cultura e, per una breve parentesi, anche sindaco. Nel 1988 entra in Rai dove negli anni ricopre vari incarichi: responsabile delle Pubbliche relazioni, direttore delle Relazioni esterne, presidente di Serra Creativa, amministratore delegato di RaiSat (società che forniva a Sky sei canali) infine responsabile della Promozione e sviluppo. È stato a lungo membro dell’Istituto di autodisciplina della pubblicità.

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