Basato a Bologna, il Comitato europeo per la formazione e l’agricoltura (Cefa) è nato come onlus e opera del 1972 in Africa con progetti legati all’uso razionale delle risorse idriche in agricoltura. La sua peculiarità, spiega a “Italia Libera” la direttrice Alice Fanti, è il suo radicamento nel territorio in Africa del Nord, Africa orientale e America del Sud: «L’ultimo Paese in cui ci siamo stabiliti è l’Etiopia, dove ormai siamo presenti dal 2016. Ci siamo mossi dopo la richiesta di un’altra Ong nostra partner che aveva individuato la necessità di lavorare sui temi dell’agricoltura e dell’acqua per affiancare le sue attività in campo sanitario». In Mozambico, a Capo Delgado, il Cefa sta gestendo anche un progetto di “peacebuilding” intergenerazionale
◆ L’articolo di COSIMO GRAZIANI
► In un mondo nel quale il cambiamento climatico sembra sempre più difficile da fermare, una delle soluzioni possibili è di dare risposte alle situazioni locali attraverso le persone, perché loro sono le prime a soffrirne gli effetti. Questo è l’approccio del Cefa (Comitato europeo per la formazione e l’agricoltura), nato come onlus e attiva dal 1972 in Africa con progetti legati all’agricoltura e alle risorse idriche. Ne abbiamo parlato con Alice Fanti, direttrice della Ong che ha sede a Bologna per capire come la sua organizzazione agisca nel settore idrico.
Per parlare dell’attività della Cefa bisogna partire dalla loro presenza: Africa del nord, Africa orientale – dalla Somalia al Mozambico – e America del Sud. Una delle caratteristiche di questa organizzazione è il radicamento nel territorio: «Il nostro nuovo ingresso in un Paese è un evento raro, di solito ci viene richiesto dal basso, da Ong già presenti o da gruppi della società civile. L’ultimo Paese in cui ci siamo stabiliti è l’Etiopia, dove ormai siamo presenti dal 2016. Ci siamo mossi dopo la richiesta di un’altra Ong nostra partner che aveva individuato la necessità di lavorare sui temi dell’agricoltura e dell’acqua per affiancare le sue attività in campo sanitario» ci spiega Alice Fanti.
L’approccio è quello di voler ascoltare le richieste e le necessità della popolazione e di collaborare il più possibile con le istituzioni del posto: «È impensabile lavorare in questi Paesi senza fare sinergie con gli enti locali, che ovviamente conoscono le necessità e gestiscono già politiche in grado di coordinarsi con i progetti che proponiamo. Altri interlocutori per noi importanti sono i nostri omologhi locali, quindi le organizzazioni della società civile che possono essere sia Ong come la nostra, ma anche associazioni, gruppi informali e di attivisti. Non ci sono situazioni in cui operiamo da soli. Siamo sempre in un rapporto di partneriato in cui noi possiamo mettere sia l’expertise a monte con la stesura e la gestione dei progetti, sia le conoscenze tecniche».
Il lavoro dei membri della Ong, composta localmente in egual misura da italiani e residenti locali, non si ferma qua: si cerca anche di rafforzare quelle che vengono definite infrastrutture soft, ovvero le conoscenze specifiche per far fronte all’emergenza climatica e alla gestione delle risorse idriche, come i progetti portati avanti in Tunisia.
Sebbene, come spiega Fanti, la Ong si stia specializzando in progetti agricoli e legati alla gestione delle riserve idriche, vista la decennale attività di Cefa abbiamo chiesto se fosse attiva anche in altri settori: «A Cabo Delgado, in Mozambico – risponde Fanti – stiamo gestendo un progetto di peacebuilding. Qui, a differenza di altre zone in forte tensione, siamo presenti direttamente e non attraverso dei rappresentanti locali proprio per la natura del progetto, che ha fini di inserimento sociale per i giovani e percorsi di pacificazione intergenerazionale per abbassare la conflittualità nella zona. Anche in questo caso facciamo affidamento su Ong locali per capire come agire nei confronti dei giovani e delle altre parti della popolazione». © RIPRODUZIONE RISERVATA