Il reattore Alcator del Massachusetts Institute of Technology (MIT)

La fusione nucleare viene riproposta a intervalli regolari dagli anni Sessanta. Edward Teller, il padre della bomba H, vaticinò che l’avremmo avuta negli anni Novanta, obiettivo spostato via via di decenni in avanti. A Cadarache (in Francia) un progetto “ibrido” tra ricerca sperimentale e prototipo industriale (finanziato da Usa, Russia, Cina, India, Giappone e Ue) prevede di passare entro il 2035-40 alla fase “Demo”, ed entro il 2050 alla produzione dei primi kWh. Il costosissimo e assai futuribile kWh da fusione sarebbe fuori tempo massimo per contrastare la crisi climatica (checché ne dica il ministro Cingolani)


L’analisi di MASSIMO SCALIA, fisico matematico

DOPO LE “INGEGNOSE TROVATE” di Roberto Cingolani, in molti sono stati presi dal non voler restare all’interno della legatura del sacco. Da ultimo anche Ettore Prandini, il presidente di Coldiretti, che ci spiega, dopo aver poco tempo fa condannato l’agri-fotovoltaico, che «la mobilità elettrica vista nel suo complesso è più inquinante della mobilità tradizionale» (La7, Coffeebreak, ore 10 del 16 ottobre). Qualche concetto maldigerito (agenbite of inwit) che gli ha passato qualche amico ingegnere, in media tifosi delle analisi del life cycle della qualunque? O, più semplicemente, subalternità, diciamo culturale, nei confronti dell’Eni, che con dirigenti, ex o attuali, ha sorprendentemente fatto presente la sua scarsa simpatia per la mobilità elettrica? Speriamo che sia solo un problema di Prandini e non della sua associazione.

Il padre della bomba H Edward Teller aveva vaticinato l’energia da fusione nucleare nei primi anni ’90

Per dare più ampio respiro al suo dire, Prandini si è impegnato anche lui, seguendo l’esempio del ministro della Transizione ecologica, a discettare sulle prospettive della fusione. E pensare che quando ero capo gruppo dei lupetti credevo ne: “L’esempio trascina”. Sì, quello negativo. Al punto che sembra valere l’atteggiamento voltairiano del ministro: “Calunniate, calunniate, qualcosa resterà”. Dove il “calunniate” va sostituito con il più modesto: “raccontate minchiate”.

Per tentare di introdurre un po’ di “ordine” nel crescente “disordine”, in quell’«entropia dell’informazione» che quel genio di Claude Shannon anticipò nel lontano 1948, procediamo per rapidi punti. Almeno sulla questione “fusione”.

  1. L’idea di riprodurre sulla terra il meccanismo energetico del sole, fascinosa negli anni 60, è una delle toppe più clamorose della Fisica teorica. Edward Teller, il padre della bomba H (primi anni ’50), probabilmente guardando ai tempi intercorsi tra la “pila atomica” di Fermi, dicembre 1942, e le prime realizzazioni di centrali elettronucleari a fissione — seconda metà degli anni 50 — vaticinò che la prima energia elettrica da fusione sarebbe stata disponibile nei primi anni ’90;
  2. Quel vaticinio è stato sistematicamente spostato di decenni più avanti, man mano che ci si avvicinava alla fatidica data. Oggi abbiamo Usa, Russia, Cina, India, Giappone e Ue che finanziano un colossale progetto di centrale a fusione, Iter, in costruzione a Cadarache (Francia). Un progetto “ibrido” tra ricerca sperimentale e prototipo industriale, come evidenzia la sua tempistica, peraltro approssimativa: entro il 2035-40 passare alla fase “Demo”, che entro il 2050 si dovrebbe concludere con la produzione dei primi kWh;
  3. Il progetto Iter, del quale il ministro Cingolani sembrava a suo tempo all’oscuro (leggi qui), risulta obsoleto ancor prima della sua entrata in esercizio. Infatti: a) non è in grado di portare alcun contributo in tempo utile alla lotta contro la drammatica accelerazione del global warming, divenuta ormai l’angoscia del “non c’è più tempo”; b) è in profonda contraddizione con la sopravvenuta strategia Ue (2007) dei tre 20% al 2020, divenuta riferimento dell’Accordo di Parigi (dicembre 2015, ratifica 2016), che prevede uno spostamento dalla grande produzione di energia concentrata, come le megacentrali elettriche, a energie diffuse sul territorio e più facilmente controllabili dai cittadini fino all’autogestione (vedi, anche in Italia, le comunità energetiche);
  4. Se al 2050 il 100% della produzione elettrica non verrà dalle energie rinnovabili (Fer), come affermava il sondaggio effettuato dalla MacKinsey tra produttori di elettricità e istituti finanziari (2011), ci si sarà però molto vicini. Visto che già nel 2020 la produzione di elettricità da rinnovabili si è attestata sul 38% (superando per la prima volta quella da fonti fossili); che tra gli obiettivi del Recovery fund Ue c’è una forte spinta per aumentare questa quota già entro il 2030 e che non è difficile prevedere che l’esito di CoP 26 accelererà decisioni e realizzazioni in questa direzione. Un quadro che rende inutile, oltre che fuori tempo, il costosissimo e assai futuribile kWh da fusione.
La costruzione del prototipo Iter a Cadarache in Francia

Ma allora, sono tutti pazzi? Guardando al profilo storico della vicenda, gli interessi della ricerca fondamentale, finanziata con cospicui budget, si sono cementati, nei lunghi anni trascorsi, con una prospettiva culturale, quella dominante, che celebra gli sviluppi tecnico-scientifici come “progresso”. Senza se e senza ma. Un’alleanza divenuta tombale quando anche la grande industria elettromeccanica, e il suo indotto, ha cominciato a percepire quote che il denaro pubblico garantiva alla costruzione delle mega componenti necessarie per la fusione. Tombale, perché ha sepolto ogni voce critica sotto le tonnellate di propaganda mediatica degli sponsor, dei diretti interessati e di callidi depistatori, come l’Eni, ai quali si è periodicamente unito il coro di politici, non meno ignoranti, di editor e strombazzotori vari, che celebravano con accenti ottocenteschi “le magnifiche sorti e progressive”. 

Intanto, quelli che sanno fare soldi a palate su innovazione e ricerca, Jeff Bezos, Jack Ma e Bill Gates, hanno puntato su “Sparc” un reattore a fusione di circa 200 MW — una tecnologia “sorella” dell’“Ignitor” di Bruno Coppi, che qui in Italia non ha mai ottenuto il supporto decisivo — e che dovrebbe dare i suoi kWh una ventina d’anni prima di Iter (ibidem).

Frascati, 29.1.2020: da sinistra, Zingaretti (Regione Lazio), Patuanelli (ex ministro Sviluppo Economico), Testa (Enea), Descalzi (Eni), Manfredi (ex ministro Ricerca scientifica)

Su Sparc si è fiondato a suo tempo anche Eni, ed Enea l’ha tirato per la giacchetta perché sponsorizzasse anche il suo Divertor Tokamak Test (Dtt), un reattore di fusione in miniatura tranne che per il costo: 500 milioni di euro, pubblici ovviamente. Accolto, l’anno scorso, dai petti gonfi d’orgoglio degli amministratori della Giunta della Regione Lazio. Enea è infatti storicamente specializzata in “progetti di supporto” a quelli lanciati dai nostri cugini d’Oltralpe, che l’Ente ha preteso ogni volta di “affiancare” con suoi contributi originali. Così fu per i reattori veloci francesi, i Superphénix, col progetto Pec (Prova Elementi Combustibile sul Brasimone). Così fu per il progetto Cora per il trattamento dei rifiuti radioattivi (Eurex di Saluggia), di supporto alla tecnologia francese. Così è adesso per il Dtt. Caratteristica comune: progetti falliti, non un soldo di quelli spesi — tanti e sempre pubblici — ha mai configurato una qualche seria trasmissibilità di tecnologie all’Industria italiana, grande piccola o media che fosse. Ma col Dtt Enea ha vibrato il suo do di petto: Iter il suo Divertor Tokamak Test ce l’ha già a Cadarache, operativo dal 2016 e finanziato dalla Ue. Si chiama West. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Scienziato e politico, leader del movimento antinucleare e tra i fondatori di Legambiente. Primo firmatario, con Alex Langer, dell’appello (1984) per Liste Verdi nazionali. Alla Camera per i Verdi (1987-2001) ha portato a compimento la chiusura del nucleare, le leggi su rinnovabili e risparmio energetico, la legge sul bando dell’amianto. Presidente delle due prime Commissioni d’inchiesta sui rifiuti (“Ecomafie”): traffici illeciti nazionali e internazionali; waste connection (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin); gestione delle scorie nucleari. Tra gli ispiratori della Green Economy, è stato a fianco della ribellione di Scanzano (2003) e consulente scientifico nelle azioni contro la centrale di Porto Tolle e il carbone dell’Enel (2011-14). Co-presidente del Decennio per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile dell’Unesco (2005-14). Tra i padri dell’ambientalismo scientifico, suo un modello teorico di “stato stazionario globale” (2020) (https://www.researchgate.net/profile/Massimo-Scalia)

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