Le ultime tarantate
Congedo editore, dicembre 2022
Pagg. 92 – Euro 18,00
“Le ultime tarantate” di Angelo Angelastro e Pierpaolo De Giorgi (Congedo editore) è un libro, tra racconto e fotografie, di atmosfera. Angelastro è un giornalista e scrittore, De Giorgi un etnomusicologo, nonché esperto del tarantismo. Il libro è un viaggio in quello che è uno dei fenomeni fortemente simbolici di un Sud pieno ancora di misteri. La “tarantata” è la persona sofferente, il cui male si riteneva derivasse dal morso velenoso della “taranta”, un animale simbolico. E intorno a questo, c’è tutto un mondo di tradizioni e riti. Quello che segue, è l’inizio del libro, raccontato da Angelastro in prima persona
L’incipit di ANGELO ANGELASTRO, per gentile concessione dell’editore Congedo
ALLA FINE DI GIUGNO del 1978, quando è trascorso meno di un anno dall’ingresso nella redazione pugliese della Rai, non nutrivo dubbi che il mio percorso professionale sarebbe stato lontano dai due settori trainanti dell’informazione: il politico e l’economicosindacale. Meditate ragioni di realismo e di autotutela mi spingevano a guardare con progressiva intensità al mondo della cultura: si trattava pur sempre di un ritorno alle predilezioni pre-politiche dell’adolescenza, così segnate dalle passioni per la letteratura, la poesia e la spiritualità d’origine popolare. Benchè ancora in embrione e fors’anche piuttosto confusa, c’era dunque un’intenzione programmatica nella richiesta di poter seguire con una troupe televisiva l’enigmatico evento di Galatina, richiesta rivolta al mite capo redattore dell’epoca.
“E potrei mai dirti di no, piccolo padre?” disse Michele Campione, sfumacchiando il primo toscano della giornata. “Attenzione però! Non si scherza con i parenti delle tarantate…”. Appresi dalle parole di chi non doveva nutrire troppa simpatia per la riduzione del Salento a malinconica “terra del rimorso” che l’esagitato pellegrinaggio delle donne scosse dalla taranta verso la cappella di San Paolo poteva costituire remora per la mia incolumità e per quella dell’ignaro operatore di ripresa. E adottai non poche misure di precauzione. Decisi che non avremmo pernottato in paese la notte fra il 28 e il 29 giugno per non dare nell’occhio, mi accertai che sarebbe stato a disposizione della Rai un piccolo terrazzo di fronte alla chiesa e controllai che nella dotazione della troupe non mancassero i teleobiettivi più potenti.
Perfino nell’immaginario della mia famiglia d’origine. Che mi vuole, quando avevo poco più di un anno, al seguito della madre insegnante di scuola elementare, “comandata” a far lezione per qualche tempo nel Salento e forse proprio ai figli delle donne pizzicate dal ragno. Ma che Galatina covasse uno scandalo appena tollerato dalla Chiesa cattolica nessuno in famiglia, né allora né poi, sembrò avere diretta cognizione. A questa ragione, vagamente leggendaria, ne aggiungerei poche altre, più ricche di significati. La prima fu, certamente, l’attrazione che già allora il “creativo” Salento esercitava sui prosaici territori della Puglia settentrionale, con i primi spettacoli di strada inscenati dall’Odin Teatret di Eugenio Barba, esperimenti non così diversi da quella forma di teatro drammatico-religioso in cui si risolveva l’esperienza del tarantismo. C’era stata, poi, la folgorante esperienza della lettura di Carlo Levi e del suo Cristo si è fermato ad Eboli. Come non cercare nuove suggestioni sul retroterra magico della civiltà contadina dopo aver letto le illuminanti cronache dell’intellettuale torinese? Starei quasi per dire che se le misteriose storie narrate in quel libro non avessero arricchito una diffusa sensibilità sulla dolente realtà del Mezzogiorno, le parole scritte da Salvatore Quasimodo per il documentario di Ernesto De Martino non avrebbero avuto la straordinaria risonanza che ebbero. E lo stesso tarantismo, forse, non avrebbe potuto rivelare in età contemporanea tutti i suoi contenuti più nascosti. © RIPRODUZIONE RISERVATA