È sensato, è attuale, è giusto parlare di fascismo oggi? C’è un reale pericolo che ritorni una qualche forma di fascismo, oppure semplicemente una forma di fascismo sta sopravvivendo dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale e il suo lungo epilogo? Un dibattito, che sia sereno e fatto di argomenti, è utile anche per riflettere su quello che siamo, o siamo diventati. Prescindendo dall’idea – non ragionevole – di un duplicato di quello che è stato il Ventennio; e su questo basterebbe quanto ammonito da Primo Levi: ogni epoca ha il suo fascismo. Ci sono dei segnali vistosi, inquietanti, di un fascismo che vive il presente e che ha trovato accoglienza non solo nei gruppi dell’estremismo nero, ma nella rappresentanza politica che ora – alla guida del Paese – non ha radici nei partiti che hanno contribuito a “costruire” la Costituzione. Una realtà politica da avere ben presente soprattutto nel Giorno della Memoria: quel 27 gennaio 1945 in cui le truppe sovietiche dell’Armata Rossa scoprirono Auschwitz, mettendo sotto gli occhi del mondo “l’orrore assoluto” della Shoah, pianificata e compiuta dai fascismi europei
◆ L’articolo di EMILIO DRUDI
► «L’arcivescovo di Ferrara dovrebbe iniziare a riempire di migranti il suo palazzo e lasciare le case popolari ai ferraresi. La sua reggia non solo è molto grande, ma mi sembra anche piuttosto vuota. È facile fare i caritatevoli con i soldi e i beni degli altri…». Così – riporta il quotidiano Avvenire – si è espresso il sindaco leghista di Ferrara Alan Fabbri contro l’arcivescovo Giancarlo Perego, “colpevole” di aver apprezzato la decisione della Regione di uniformare i requisiti per l’assegnazione delle case popolari, eliminando dai criteri per il punteggio in graduatoria la “residenzialità storica” prevista dal Comune. Trascurando di dire, tra l’altro, che la “reggia” è vuota perché in restauro da anni, dopo il terremoto del 2012. Ancora una volta “prima gli italiani”. Anzi, “prima i ferraresi”.
È su questa scia che disvalori come l’idea del “privilegio” di essere nati nello stesso paese, l’affermazione di una rigida “identità nazionale unica” (a dir poco anacronistica in una società complessa come quella in cui viviamo), il conseguente sospetto o addirittura l’ostilità nei confronti di chiunque sia percepito come “altro” e, via via crescendo, il nazionalismo cieco, la xenofobia, il razzismo, sono entrati sempre di più nella quotidianità. Come idee, atteggiamenti, scelte e comportamenti normali. Come una “cultura normale”. Talvolta senza che si riesca nemmeno ad accorgersene. Viene da pensare a una arguta risposta data da Francesco Guccini a chi gli chiedeva come mai tanti, in zone tradizionalmente “rosse” dell’Emilia Romagna, hanno scelto negli ultimi anni di votare per la destra estrema, in particolare per la Lega: «Forse perché – ha commentato Guccini – erano leghisti anche prima, ma non se ne rendevano conto…».
Ma perché oggi riaffiorano questi discorsi e questi timori? Un dibattito di questo genere si è sviluppato dopo l’adunata fascista di Acca Larentia, organizzata dai gruppi più noti dell’estremismo nero, romani e non solo. Diversi politici di destra hanno mostrato una sorta di stupore per le polemiche sollevate da più parti: “Queste manifestazioni si sono tenute ad Acca Larentia anche in passato, quando governava la sinistra…”, hanno detto. È vero: è accaduto anche in passato. Ma questa semmai è un’aggravante: dimostra come il veleno del “fascismo eterno” sia a poco a poco penetrato così profondamente nella coscienza e nei comportamenti quotidiani da considerare “normale” quello che stava accadendo. “Normale” una adunata sediziosa, che ha riproposto come una sfida alla democrazia, senza alcuna reazione istituzionale, riti del fascismo storico che altrove – in Germania ad esempio, ma più in generale in buona parte dell’Europa – avrebbero comportato interventi e prese di posizione immediate da parte della politica, delle istituzioni, del mondo della cultura, del lavoro, ecc. Oltre che della giustizia. Ma in più, rispetto al colpevole silenzio del passato (in cui matura anche l’assalto squadrista alla sede nazionale della Cgil a Roma, nel settembre 2021), questi atteggiamenti, queste iniziative e soprattutto queste idee, che prima stentavano a manifestarsi in modo aperto e pubblico e in genere venivano anzi condannati, hanno trovato casa non solo nella “destra estrema” ufficiale di sempre ma in varie formazioni politiche che si dicono democratiche e che però, a ben vedere, stanno invece mettendo in campo un programma che mira a smantellare la democrazia costruita con l’antifascismo e la Costituzione del 1948 e a cambiare radicalmente il Paese.
Si obietta da più parti, a destra, che l’antifascismo sarebbe “anacronistico perché il fascismo non esiste più”. Ignorando o facendo finta di ignorare che affermare l’antifascismo significa affermare i fondamenti della Costituzione. Ignorando o facendo finta di ignorare che semmai il fascismo “storico” non esiste più. Ma il “fascismo eterno” di cui parla Umberto Eco e la sua visione della società accidenti se esistono ancora. Quel fascismo le cui radici Piero Gobetti individua nella tendenza alla “servitù volontaria” che porta ad accettare supinamente la supremazia di un “capo”, rinunciando di fatto alla democrazia: al grande impegno che richiede, giorno per giorno, la difesa dei principi democratici. Ed ecco, allora, che appaiono “normali” gli attacchi condotti contro la Costituzione. Normale, ad esempio, l’insofferenza del Governo contro ogni forma di dissenso e contro le regole del controllo democratico o i preziosi “contrappesi” tra le varie forme del potere dello Stato. Normale il rifiuto di ogni pensiero critico che, da qualunque parte provenga (organi istituzionali, stampa, magistratura, sindacati…), viene sempre considerato come “nemico”. Normale l’idea sempre più diffusa che occorre rafforzare il potere esecutivo affidandolo ad un “presidente con più poteri” e “più svincolato da lacci e lacciuoli”, negando anche l’evidenza che, in questo modo, si svilisce il ruolo costituzionale del Presidente della Repubblica. O ancora, anzi prima di tutto, la volontà di esautorare ed umiliare ogni giorno di più il Parlamento, che è il perno della nostra democrazia.
Ecco, tutto “normale” quando non lo è affatto. Ed appare anzi incompatibile con la democrazia che l’Italia ha conosciuto dalla Liberazione in poi. Vale la pena ricordare, allora, quanto scriveva Piero Gobetti nel 1925, tre anni dopo la Marcia su Roma e meno di un anno prima che morisse per i pestaggi subiti dagli squadristi: «La maggioranza degli italiani è fascista solo in questo senso: che ha una assoluta incompatibilità di carattere coi partiti moderni, coi regimi di autonomia democratica, con la lotta politica…». A 80 anni dalla Resistenza, dalla lotta antifascista e dalla Liberazione, stiamo tornando a questa “incompatibilità”, fino a consegnare l’Italia a quello che Massimo Giannini ha acutamente definito il rischio di una “capocrazia”? Forse. Certo è che risuonano quanto mai attuali le parole di Primo Levi, il quale non si è mai stancato di ammonire che ogni epoca ha il suo fascismo. © RIPRODUZIONE RISERVATA