◆ L’analisi di VANDA BONARDO
► La Sambuy-Seythenex, comprensorio sciistico situato tra i 1150 e i 1850 metri di altitudine nelle Alpi francesi, il settembre scorso ha preso la difficile decisione di chiudere definitivamente gli impianti di risalita a causa del cambiamento climatico. Dalla vicina Austria arriva la recente notizia del fallimento del comprensorio Dreiländereck per mancanza di neve. E non è il primo caso in Carinzia. Anche in Italia crescono i numeri degli impianti chiusi più o meno in modo definitivo e da nord a sud fioccano le occasioni per acquistare intere ski-area ormai ferme. Termometro di questa situazione sono i dati sugli impianti sciistici presentati il 12 marzo con il dossier “Nevediversa” di Legambiente. Impianti sempre più in difficoltà tra chiusure e aperture a singhiozzo.
Per la stagione 2023/2024 abbiamo contato 177 impianti temporaneamente chiusi, con una crescita di 39 unità rispetto al Rapporto precedente, mentre quelli aperti a singhiozzo sono saliti dagli 84 dell’edizione passata ai 93 di questa. Gli impianti dismessi e abbandonati sono 160 a fronte dei 149 del Rapporto 2023 e gli impianti sottoposti a “accanimenti terapeutici”, quelli che sopravvivono solo con forti iniezioni di denaro pubblico, sono 214, più 33 dall’anno scorso. Dati pesanti a cui va aggiunta la crescita dei bacini idrici per l’innevamento artificiale: 158 quelli censiti (+16 rispetto al report 2023) di cui la gran parte in questo caso, ben 141, sulle Alpi, e il restante, 17, sulla dorsale appenninica.
E se si guarda alle singole regioni si scopre che finanziamenti per la neve artificiale non accennano a diminuire. Un esempio per tutti arriva dal Piemonte. Nella regione alpina, stando ai dati Arpa Piemonte, il trimestre appena terminato è stato l’inverno più caldo degli ultimi settanta anni con una media regionale di 4.5°C, quasi 3°C in più rispetto alla norma del trentennio di riferimento 1991-2020. Nonostante ciò, in Piemonte, dove i fondi erogati sono tra i più trasparenti e tracciabili, ammontano a 32.339.873 di euro i contributi previsti per il biennio 2023-2025 (contro i 29.044.956 di euro del biennio 2022-2024).
Il dossier contiene anche un focus sulle Olimpiadi Milano-Cortina 2026. La strada è sempre più in salita per le Olimpiadi 2026 a due anni dallo start: la sostenibilità è un miraggio, la crisi climatica incombe con i suoi impatti, e poi ci sono i ritardi nei progetti e nell’avvio dei lavori, rialzi ed extra costi, gare deserte e offerte di impianti oltreconfine, ripiegamenti logistici su strutture più “light”, cantieri non ancora aperti e che con molta probabilità verranno completati a Olimpiadi concluse con eredità pesanti per i territori e le loro comunità, oltreché per le casse pubbliche. Sono oltre 20 le opere più costose segnalate da Legambiente e che risultano finanziate con importo superiore ai 30 milioni di euro. Opere che si dovrebbero realizzare in Lombardia, Veneto e Trentino-Alto Adige.
Un quadro critico quello che emerge anche quest’anno dai dati raccolti con “Nevediversa 2024” e su cui Legambiente chiede di mutare direzione a livello politico e territoriale, superando la pratica insostenibile dell’innevamento artificiale, lavorando ad una riconversione degli impianti e puntando ad un turismo invernale più sostenibile, una leva quest’ultima fondamentale come ben raccontano le 73 buone pratiche descritte nel dossier. In particolare si chiede al governo Meloni che vengano stanziati più fondi per il turismo dolce in quota e che si prevedano azioni di mitigazione alla crisi climatica nelle aree montane, accompagnando i gestori degli impianti in questo non facile percorso di riconversione. La montagna deve diventare un luogo sempre più vivo e abitato, dove “si scia fintanto che la neve stagionale lo permette”, dopodiché si farà altro, perché in montagna c’è tanto altro da fare e da inventare. © RIPRODUZIONE RISERVATA