"Visione" notturna dell'ennesimo rendering del ponte sullo Stretto: luccicante, quasi vero, quasi fatto; acquolina in bocca per costruttori e venditori di fumo
Una scena da “Il bugiardo” di Carlo Goldoni [credit Tommaso Le Pera]Salvini ha appena smesso di salmodiare “30 miliardi” per far fronte alle conseguenze del caro energia — magari qualcuno gli ha spiegato che ce ne vorranno parecchi di più, vedi Uk e Germania — ed eccolo, più sveglio che mai, proporre una tema davvero originale: il ponte sullo Stretto. Si capisce che il “capitano”, dimezzato peggio che il visconte di Calvino, voglia far riguadagnare alla Lega un carattere di presenza nazionale, anche nel Sud. Ma è proprio necessario farlo con un’altra delle sue minchiate? Era già successo il 4 agosto dell’anno scorso a opera dell’ex ministro Giovannini. Ora ci riprova il nuovo ministro alle Infrastrutture, Salvini, appunto, con alle spalle l’ombricola del sempreverde Cingolani, allora sugli spalti in virtù delle sue molteplici “spiritose invenzioni”. Poiché è un tema che va avanti da 50 anni, per restare alle ultime risultanze, sempre con le stesse domande e risposte, speravamo che le lapidarie conclusioni degli advisor esterni consultati dal Governo Amato sarebbero dovute bastare. Non è così, e allora dobbiamo ripubblicare quanto già Italia Libera propose oltre un anno fa, ricordando che in questo dibattito stantio era allora appena apparso (luglio 2021), vera novità, lo studio prodotto da un gruppo internazionale di geologi sulla scoperta, oltre cent’anni dopo, della faglia che aveva originato il più tremendo terremoto d’Europa: quello che rase al suolo Messina e Reggio Calabria nel 1908. Buona rilettura. (m.s.)
Il ministro Giovannini il 4 agosto è riuscito a trasformare l’audizione alla Camera in un vero e proprio coup de theatre, una news assoluta: il ponte sullo Stretto. Non bastando i megaton di studi sull’attraversamento “stabile” da Scilla a Cariddi, il titolare della Mobilità sostenibile ha avuto la sublime idea di affidare la questione a un gruppo di studio industriale come Italferr. Eppure sarebbe bastato rileggere le conclusioni dei due advisor del Governo Amato a fine millennio scorso per apprendere che né aspetti economici e sociali, né aspetti trasportistici potevano motivare il progetto, se non quello politico-simbolico di un’opera che contrassegnasse un’epoca. Sulla qualificazione dell’epoca attuale per ora è meglio sorvolare
L’analisi di MASSIMO SCALIA, fisico matematico
UNA SCOSSA, QUASI un brivido freddo aveva attraversato la sua schiena. Sul palcoscenico, quello che Goldoni aveva inaugurato con le “spiritose invenzioni” di Lelio Bisognosi, si era fatto avanti un nuovo temibile contendente. Mica un ominicchio qualunque, ma il suo collega di Governo, il ministro alle Infrastrutture Giovannini!
Pur se con eccessiva cautela, e qui Cingolani si sentiva di alzare un sopracciglio di superiorità, Giovannini era tuttavia riuscito a trasformare l’audizione alla Camera in un vero e proprio coup de theatre, una news assoluta: il ponte sullo Stretto. Certo, roba non all’altezza, né tecnologica né evocativa, dei vertici che lui aveva toccato con le sortite sul nucleare, i “mini reattori”, “quelli da 300 Mw che producono poche scorie” o quella “IV generazione”, per l’assenza della quale aveva versato qualche composta lacrima di rammarico. Neanche poi a parlarne, di quella visione cosmologica che celebrava la vita degli astri alimentata dalla fusione, la vera prospettiva del futuro. Però, la sortita di Giovannini sul ponte “delle due Sicilie” aveva quel che di corposamente inarrivabile, quale le colossali opere pubbliche sanno ispirare e si portano dietro…
Uno dei tanti studi sulla possibile localizzazione del ponte sullo Stretto
Quanto a senso di realtà, non si sentiva davvero inferiore su quel terreno che un osservatore esterno avrebbe, malevolo, classificato come le “corbellerie dell’eterno ritorno”. E, dando voce al malevolo, vien proprio da dire: “Ma non bastava Cingolani, adesso ci si mette pure Giovannini!” Sublime l’idea di affidare la questione a un gruppo di studio industriale come Italferr. Negli ultimi 50 anni — senza risalire ai tempi degli antichi romani — sono stati prodotti Megaton di studi e perizie tecniche “qualificate”, tutte assai costose. Addirittura, uno studio da 60 miliardi di vecchie lire commissionato dall’Eni sull’ipotesi di un “ponte” subacqueo, oggi diremmo un “Tunnel Archimede”, mentre in “superficie” si fronteggiavano i progetti a campata unica.
In altro momento affronteremo la questione di un ponte sullo Stretto a più piloni, rimandando per ora il ministro delle Infrastrutture alla lettura di “Mondo senza fine”, se non si sente di leggere la ricerca sulla faglia dello Stretto (vedi avanti). E dedichiamoci, brevemente, al progetto a campata unica, che è quello da decadi discusso e studiato, pour cause.
La luce del ponte dovrebbe essere di 3300 metri. Un’opera “unica”, una vera mission impossible per l’ingegneria, che si è fermata ai 1991 metri della campata centrale del ponte Akashi Kaikyō (1998) in Giappone e che ci ha messo più di un secolo per arrivare a questo record, dal ponte di Brooklyn che a fine Ottocento era il campione del mondo. E, sempre rimanendo sul piano tecnico, per superare il disastro di Tacoma (Usa) — il ponte sospeso, progettato da Salomon Moisseiff, quello del Golden Gate Bridge, che il 7 novembre 1940 aveva cominciato a oscillare verticalmente (galloping) sollecitato dal vento, come era già accaduto prima dell’inaugurazione, e la campata centrale aveva “flippato”, dopo due ore di vibrazioni, crollando nel baratro — fu proposto il ponte a profilo alare. Cosa potranno proporre di innovativo gli studi testé commissionati, a proposito delle robuste sollecitazioni dei venti che attraversano lo Stretto, del distacco periodico dei vortici di von Karman e, più in generale, dell’instabilità aerodinamica e i flutter ad essa associati?
Scoperta la faglia del terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908
Sulla sicurezza geologica, anche lì affondiamo nel mare di studi. Dall’allontanamento misurabile tra le due coste agli aspetti sismici dello Stretto, segnalando — è appena uscito — lo studio internazionale che ha individuato dopo oltre cento anni la faglia del più tremendo terremoto d’Europa, che rase al suolo Messina e Reggio Calabria nel 1908 e provocò centomila morti: per chi vuole approfondire, lo studio è leggibile cliccando qui. Non ricordo particolari attenzioni ai fenomeni di risonanza tra le frequenze delle componenti sismiche dei terremoti di progetto e le frequenze di vibrazione propria dei molteplici materiali necessari alla costruzione. E si potrebbe procedere di questo passo — la resistenza e il materiale dei cavi, le difficoltà degli impalcati di terza generazione e via elencando — ripercorrendo le botte e risposte degli ultimi decenni.
Eppure, si poteva sperare che la partita fosse stata chiusa dalle valutazioni fornite dai due advisor, incaricati dal Governo Amato a fine millennio scorso dopo un’ennesima querelle dov’erano intervenuti i Consigli e gli Organi superiori di tutti gli enti e le aziende interessati. Molto semplicemente, l’approfondita analisi degli advisor concludeva che né aspetti economici e sociali, né aspetti trasportistici potevano motivare il progetto, se non quello politico-simbolico di un’opera che contrassegnasse un’epoca. Ora, c’è da augurarsi, devotamente, che nell’Italia impegnata col Recovery fund e nell’era della dematerializzazione e della digitalizzazione quell’aspetto politico-simbolico venga valutato come un arcaismo consono all’epoca dei Faraoni, i cui monumentali e fascinosi simboli di potere stanno ancora lì, peraltro, a sfidare i millenni.
Giovannini, come portavoce dell’Asvis, aveva scatenato la corsa di molti ambientalisti e di varie associazioni a mettersi sotto l’ampio e accogliente “cappello” della sua Associazione, imbattibile sul terreno mediatico. Certo, quelli un po’ più esigenti guardavano a questo cappello come alle trasmissioni generaliste delle maggiori reti Tv, mentre la gravità della crisi ambientale richiede rigore e competenza scientifici per affrontare i suoi drammatici aspetti. Ma Asvis, cappello a parte, era ed è senz’altro un’associazione ambientalista. Come si fa a sponsorizzare, pochi mesi dopo, un progetto che è il sacramento dello sfarzo rischioso di una spesa pubblica oscenamente pantagruelica, ove non valessero le argomentate e sapienti indicazioni che l’ambientalismo ha prodotto sul tema per decenni?
Scienziato e politico, leader del movimento antinucleare e tra i fondatori di Legambiente. Primo firmatario, con Alex Langer, dell’appello (1984) per Liste Verdi nazionali. Alla Camera per i Verdi (1987-2001) ha portato a compimento la chiusura del nucleare, le leggi su rinnovabili e risparmio energetico, la legge sul bando dell’amianto. Presidente delle due prime Commissioni d’inchiesta sui rifiuti (“Ecomafie”): traffici illeciti nazionali e internazionali; waste connection (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin); gestione delle scorie nucleari. Tra gli ispiratori della Green Economy, è stato a fianco della ribellione di Scanzano (2003) e consulente scientifico nelle azioni contro la centrale di Porto Tolle e il carbone dell’Enel (2011-14).
Co-presidente del Decennio per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile dell’Unesco (2005-14). Tra i padri dell’ambientalismo scientifico, suo un modello teorico di “stato stazionario globale” (2020) (https://www.researchgate.net/profile/Massimo-Scalia)
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