Svincolare dalla guerra il frumento ammassato nei depositi in Ucraina per soccorrere le popolazioni cui era stato promesso e che ne hanno bisogno, soprattutto in Africa, è un’ottima variante per tentare i primi passi verso una trattativa più generale che consenta un’uscita dalla follia della guerra. Ma la realtà delle cifre è questa: di frumento, l’Ucraina ne produce poco più di metà della Francia, circa la metà degli Usa, meno di un quarto della Cina. Per i cereali, se la batte con la Francia ma è solo ottava produttrice del mondo con 74 milioni di tonnellate, contro Russia (118), Brasile (121), India (324), Usa (421) e Cina (613). Grano dall’Ucraina a chi soffre, ma non basta! Grano, cereali, mais dai Paesi ricchi grandi produttori, solo così si affronta per davvero la crisi umanitaria della fame
L’analisi di MASSIMO SCALIA
LA QUESTIONE DELLO svincolare dalla guerra il frumento ammassato nei depositi in Ucraina per soccorrere le popolazioni cui era stato promesso e che ne hanno bisogno, soprattutto in Africa, è anche un’ottima variante per tentare i primi passi verso una trattativa più generale che consenta un’uscita dalla follia della guerra. Basta pensare ai vari passaggi di ridimensionamento del conflitto che lo sblocco richiede. E duole, pertanto, che a riproporlo con una qualche credibilità di mediazione sia l’autocrate turco. Forse, rispetto all’atteggiamento già allora “minimalista” della Ue, Erdogan non ha tutti i torti a far sedere in un divanetto a parte il capo della Commissione, mentre quel genio del presidente del Consiglio europeo continuava amabilmente a interloquire col gentiluomo ittita.
Tutto ciò detto, i dati a disposizione suggeriscono di affiancare altre considerazioni a quella che, proprio dal punto di vista dei dati, sembra poco più che una trovata. Utilmente strumentale. Guardando al frumento, l’Ucraina ne produce poco più di metà della Francia, circa la metà degli Usa, meno di un quarto della Cina. Per i cereali, se la batte con la Francia ma è solo ottava produttrice del mondo con 74 milioni di tonnellate, contro Russia (118), Brasile (121), India (324), Usa (421) e Cina (613). Nel mais è al 5° posto, ma con una produzione che è marginale rispetto al mercato globale: un decimo di quella degli Usa, meno di un settimo di quella della Cina, un terzo del Brasile.
Insomma, aiutare le popolazioni colpite impietosamente dalla siccità, dall’impossibilità di approvvigionarsi, rispetto ai loro bisogni e non alle quote marginali che verrebbero dal “grano ucraino”, è l’attuazione di almeno tre dei goal dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Certo, chi a livello Onu è preposto alla “fame nel mondo” è istituzionalmente la Fao, ma nessuno ignora le infinite difficoltà che questa azione incontra, che non è solo la “scarsezza” degli aiuti, ma, principalmente, la difficoltà distributiva, le guerre eternamente in corso, i regimi corrotti e autoritari pronti ad approfittare per mantenere le loro clientele e via elencando.
Perché allora, visto che la scellerata guerra putiniana ha assunto una dimensione globale nella narrazione — come amano chiamarla i sociologi — pubblica, non approfittare di quella dimensione per interventi che superino gli ostacoli, come in buona misura si fa per sostenere la Resistenza ucraina? Perché accanto a quel poco, ma necessario, che garantirebbe la produzione ucraina, non si costruisce un impegno comunitario a livello mondiale, che veda protagonisti i Paesi maggiori produttori a partire da Cina e Usa, ma gli altri a seguire? Quote marginali dei loro tonnellaggi di frumento, mais e cereali rappresenterebbero molto più di quanto possa essere inviato dall’Ucraina. Ce lo dicono le cifre sopra riportate. E lo sblocco dei depositi ucraini diverrebbe, allora, anche occasione di una possibile successiva “gara” virtuosa, assai più efficace nel cogliere le ricordate finalità generali, ché così sarebbero contenti tutti i seguaci di San Tommaso. Il quale, altro che Amleto, negava il nome stesso di azione a quelle che non colgono il fine per il quale sono state pensate.
“Sogni”, liquidano i più benevoli, mentre i malevoli alludono a pratiche solipsistiche. E, per non dar ragione ai malevoli, lasciamo stare la tiritera sul diritto di “I have a dream”, che pure di tanta buona stampa ha goduto. E a ragione. E, si spera, non solo contro il razzismo. Ma al prossimo G7 o G20 o Cop che sia, perché l’Europa, magari spinta da un dibattito del suo Parlamento, non si presenta con questo tema e con proposte di una “giusta” ma accelerata transizione nella lotta contro la fame e a favore di primi ingenti aiuti in questa direzione? Troppo difficile? Troppo squilibrante? Beh, al punto in cui siamo, correre rischi di questo tipo comporta rischi assai minori che non il “correre nessun rischio”.
E intavolare seriamente questo tema potrà magari suggerire a Papa Bergoglio, che è una brava persona e di audience rilevante, di modulare in modo assai più stringente e concreto quel perenne: “Svuotiamo gli arsenali, riempiamo i granai”. Perennemente disatteso per eccesso di astrazione, e privo di qualche dato corroborante ed eloquente almeno per la parte meno impervia: i “granai”. © RIPRODUZIONE RISERVATA