Il servizio pubblico radiotelevisivo schiacciato dalla necessità di adeguarsi ai nuovissimi “padroni politici” e dalla riorganizzazione produttiva per “generi”. Sotto il cielo di un grande disordine economico-finanziario con il taglio sul canone. Decine di progetti di riforma della “governance” della Rai giacciono in Parlamento. Ed appare una ‘mission impossible’ la riforma che individui i soggetti istituzionali titolati a garantire – attraverso la scelta dei vertici operativi – il pluralismo politico, l’indipendenza culturale, l’autonomia economica, la responsabilità etica che va collegata alla missione di servizio pubblico
◆ Il pensierino di GIANLUCA VERONESI
► La Rai deve combattere, come sempre, su più fronti. Alla normale dialettica della competizione televisiva si aggiungono due problemi prettamente interni: il primo consiste nella necessità di adeguarsi ad una nuova – anzi nuovissima – maggioranza politica e di governo; il secondo riguarda la recente introduzione di una profonda riorganizzazione per “generi” di tutta la programmazione. Quest’ultima modifica aziendale, discussa per anni, ritenuta la panacea di ogni male, sta dimostrandosi (secondo gli stessi sostenitori) assai complessa da gestire. In compenso, la nuova procedura ha il vantaggio di aumentare le Direzioni e i conseguenti livelli apicali e questo aiuta a risolvere il predetto problema di sostituzione e allargamento della nomenclatura.
Giacciono in parlamento decine di progetti di riforma della “governance” della Rai. Una riforma che individui quali debbano essere i soggetti istituzionali titolati a garantire – attraverso la scelta dei vertici operativi – il pluralismo politico, l’indipendenza culturale, l’autonomia economica, la particolare responsabilità etica che va collegata alla missione di servizio pubblico. Il materiale non manca per chi volesse confrontarsi – senza pregiudizi o partigianerie – con la sfida di modernizzare la Rai, obiettivo considerato da tutti gli addetti ai lavori una “mission impossible”. Contribuendo, ad esempio, a chiarire se la Rai sia un ente o una azienda e, in questo caso, se sia di natura pubblica o privatistica.
Ma, vedete, ormai tutto ciò, pur nella sua affascinante prospettiva, incontra – anche negli uomini di buona volontà – uno scetticismo disilluso perché la ossessiva e ossessionata ansia di potere dei partiti (molto più che in altri Paesi), la loro intromissione in ogni luogo in cui si organizzino degli interessi, fa sì che persino di un rettore o di un banchiere si chieda ormai immediatamente: con chi sta? Chi lo controlla?
Secondo la mia opinione, attualmente chi decide (nomina e controlla) non è il Parlamento ma personalmente i segretari dei partiti e la Presidenza del consiglio, con una voluta distrazione del ministero del Tesoro che sarebbe l’unico titolato, in quanto azionista pressoché unico. Capisco che il Tesoro voglia tenersi lontano dalle mille meschine polemiche politiche quotidiane, amplificate dai notiziari, ma sottovaluta l’importanza in termini industriali del ruolo della Rai. L’azienda, oltre ad avere una presenza economica significativa sul mercato, detiene anche un ruolo strategico su un indotto molto pregiato quale è il comparto dell’audiovisivo, dell’industria cinematografica e musicale italiana. Non dimenticando la permanente attività di promozione e propaganda nei confronti dell’Azienda Italia, in casa e all’estero. Ricordando anche che rappresenta la principale spinta motivazionale di riconversione digitale nelle fasce di terza e quarta età. © RIPRODUZIONE RISERVATA