La ragazza è fuggita meno di un anno fa dall’Oromia, la regione dove sono in corso da sempre feroci scontri etnico-politici tra oromo e amhara, devastata da una lunga siccità che distrugge ormai quasi sistematicamente i raccolti e falcidia il bestiame, provocando fame, miseria, carestia. Al principale terminale delle piste che salgono verso nord dal confine sudanese, N. J. è stata sequestrata e rinchiusa in una delle prigioni dei trafficanti di donne e uomini. In un anno di torture, ai parenti sono arrivate richieste sempre più esose per la sua liberazione. Seimila dollari l’ultima richiesta ad una famiglia di una regione dove il reddito medio pro capite non arriva a 5 dollari al giorno. David Yambio, portavoce della Ong “Refugees in Libya”: «La Libia oggi è una macchina costruita per ridurre in polvere i corpi dei neri, un cimitero per migranti». Per l’Italia la Libia è un “paese sicuro”
◆ L’analisi di EMILIO DRUDI *
La ragazza – come ha scoperto la Ong Refugees in Libya – si chiama N. J. ed ha appena 20 anni. È fuggita meno di un anno fa dall’Oromia, la regione dove sono in corso da sempre feroci scontri etnico-politici tra oromo e amhara e devastata da una lunga siccità che distrugge ormai quasi sistematicamente i raccolti e falcidia il bestiame, provocando fame, miseria, carestia. In Libia è arrivata nel maggio del 2024, passando dal Sudan. Puntava verso la costa del Mediterraneo, insieme ad altri profughi come lei, per tentare di imbarcarsi e chiedere asilo ed aiuto in Europa. Ma il suo viaggio che sognava di libertà si è interrotto a Kufra, il principale terminale delle piste che salgono verso nord dal confine sudanese, dove è stata sequestrata e rinchiusa in una delle prigioni dei trafficanti di donne e uomini. Pochi giorni dopo sono cominciate ad arrivare alla sua famiglia, in Oromia, le prime richieste di riscatto: telefonate sempre più minacciose ed esose, fino a raggiungere la cifra di 6 mila dollari, enorme per un paese dove il reddito medio pro capite non arriva a 5 dollari al giorno e per di più impoverito dalle guerre interne che, aperte con il conflitto in Tigrai nel novembre 2020, si sono susseguite in quasi tutto il paese, spesso con massacri etnici indiscriminati: in particolare ancora nello stesso Tigrai, nell’Ogaden, nell’Amhara e, appunto, nell’Oromia.
Non è una tragedia nuova. Né isolata. Storie di questo genere ne sono emerse a decine nel tempo. Talvolta con immagini altrettanto crude. Ma anche questa volta, come ogni volta, questa foto e questo filmato scuotono come se fossero “inediti”. Forse, anzi, scuotono ancora di più proprio perché non sono “inediti”: perché le tantissime torture documentate finora, per anni, non sembrano aver turbato più di tanto le coscienze. Sicuramente non le coscienze e la sensibilità di chi, in Italia come in Europa, continua a lodare la Libia per il “lavoro svolto” per contrastare l’emigrazione. Per i raid della polizia nelle periferie e lungo le vie di terra ma soprattutto per le catture in mare e i respingimenti che consegnano i profughi/migranti a inferni come la prigione dei trafficanti di Kufra.
I trafficanti agiscono pressoché indisturbati, senza che le autorità libiche si preoccupino davvero di individuarli, mandarli in galera, mettere fine a questo enorme mercato di morte, di cui sono vittime centinaia, migliaia di disperati, a cominciare da N. J. e dalla cinquantina di giovani che si vedono nella foto alle sue spalle. Perché non è sicuramente un caso che i trafficanti abbiano voluto mostrare anche quest’altra cinquantina di prigionieri: la loro presenza è un chiaro messaggio che la stessa sorte di N. J. toccherà a tutti loro se le loro famiglie non troveranno al più presto il modo di pagare il riscatto. E infatti già nella serata del 6 gennaio sono state inviate a una famiglia somala le foto del loro ragazzo con il corpo martoriato da ferite e lividi spaventosi, dovuti a torture e percosse con fruste e bastoni.
«E il mondo − aggiunge Yambio − guarda dall’altra parte. La Libia è l’ombra dell’Europa, la verità non detta della sua politica migratoria: un inferno costruito sul razzismo arabo e alimentato dall’indifferenza europea. La chiamano controllo delle frontiere, ma è crudeltà vestita di burocrazia”. E ancora: “I 6 mila dollari di riscatto richiesti per N. J. non sono solo il prezzo della sua vita: sono anche il prezzo del silenzio di una comunità globale che permette che questo orrore accada. Una sofferenza senza fine. Il destino di N. J. e delle altre 50 vittime di Kufra rimane incerto. Le loro grida sono accolte con indifferenza da chi potrebbe intervenire ma sceglie di non farlo».
Ritorna, allora, il tema di sempre. Alla politica sull’emigrazione adottata da Roma e da Bruxelles non importa nulla di tragedie come quella di N. J. e dei suoi 50 compagni. Nulla delle migliaia che vivono la stessa “sofferenza infinita”. Conta solo che i profughi/migranti non arrivino neanche a bussare alle porte della Fortezza Europa. A qualsiasi costo e qualunque sia il destino che li aspetta.
Nota: il Comitato Nuovi Desaparecidos è in possesso delle immagini delle torture inflitte a N. J. e ai suoi compagni ma preferisce non pubblicarle per rispetto delle vittime.
(*) L’autore dirige www.nuovidesaparecidos.net