Finora la prassi operativa delle centrali atomiche ha fissato in 40 anni il limite di sicurezza e fine vita dei reattori nucleari. Le società che le gestiscono puntano ad allungarne il ciclo di vita: dopo 40 anni l’ammortamento dei costi è più che completato e tutti gli anni successivi è guadagno puro. In più si rimandano i costi per il decommissioning degli impianti (smantellamento e decontaminazione) e chi vivrà vedrà. Ma l’erosione e la corrosione dovute alle condizioni di funzionamento delle centrali termoelettriche, estremizzate per la peculiarità radioattiva del nucleare? E, soprattutto, l’infragilimento di tutte le strutture essenziali della centrale — caldaia, nocciolo, tubazioni, generatori di vapore, schermo di contenimento, eccetera — dovuto all’intenso bombardamento neutronico della fissione? Per prolungarne la vita l’Europa impone che siano consultati i Paesi confinanti entro un raggio di 200 chilometri dagli impianti interessati. Nei 200 chilometri dal nostro confine la Francia ne ha 14
L’articolo di MASSIMO SCALIA
A FRONTE DELLA crisi agonica del nucleare, da parecchi anni le società di esercizio degli impianti dell’Occidente stanno brigando, a mezza bocca ma risolutamente, perché vengano consentiti altri anni di funzionamento dopo i 40 che la prassi configura come limite di sicurezza e fine vita dei reattori nucleari. Non è difficile capire il perché: dopo 40 anni l’ammortamento dei costi è più che completato — non quello del decommissioning della centrale dismessa, ma si sa, nessuno è perfetto — e tutti gli anni successivi sono guadagno puro. Quanto al decommissioning, intanto così si rimanda e poi chi vivrà vedrà. Ma l’erosione e la corrosione dovute alle condizioni di funzionamento delle centrali termoelettriche, estremizzate per la peculiarità radioattiva del nucleare? E, soprattutto, l’infragilimento di tutte le strutture essenziali della centrale — caldaia, nocciolo, tubazioni, generatori di vapore, schermo di contenimento eccetera — dovuto all’intenso bombardamento neutronico della fissione? Roba teorica, per esami universitari. Del resto, non ci stanno spiegando dai tempi di Cernobyl che le società moderne devono abituarsi a convivere con il rischio nucleare?
In Francia l’EdF (Électricité de France), la società statale per la produzione elettrica, ha già scaricato sul governo la sua impressionante esposizione debitoria (42,3 miliardi di dollari nel 2021). E il governo francese, a sua volta, l’ha brillantemente scaricata sulla Ue, forte dell’appoggio ideologico pro nucleare della Destra europea, trasformatosi concretamente nella maggioranza del Parlamento Ue che ha votato a favore dell’inserimento di nucleare e gas nella “tassonomia verde” (cioè, abilitati a fruire di finanziamenti come le fonti energetiche rinnovabili: leggi qui nota 1). Anche i parlamentari di FdI votarono compatti a favore. Ancora non avevano imparato a pigolare “sovranità energetica nazionale”, come ripete a ogni piè sospinto, un po’ “salvinizzata”, la nostra premier. “Sì, quella della Francia” ha mugugnato compiaciuto dal cielo, tra un “pff” e l’altro, il generale De Gaulle buonanima.
Oggi, l’EdF è proiettata sui 60 anni, nonostante, o forse perché, il parco nucleo-elettrico dei 56 reattori ha un’età media di 37 anni. E siccome l’avidità di guadagni facili, combinata con lo sciovinismo, non hanno limiti, EdF sta già cercando di motivare con studi, ovviamente al di sopra di ogni sospetto, anche il superamento dei 60 anni. Impegno veramente arduo, visto che ci sono componenti che non possono essere sostituite (vessel, edificio reattore), mentre per altre la sostituzione è problematica. Ma su questa richiesta si dovrà pronunciare l’Autorità per la sicurezza nucleare francese [leggi qui nota 2].
E si dovrebbero seguire, in ogni caso, le procedure previste dalla normativa di merito della Ue, tra le quali la consultazione dei Paesi potenzialmente esposti al rischio transfrontaliero o una Via (Valutazione di Impatto Ambientale) che coinvolga i Paesi confinanti. Come ha fatto recentemente la Slovenia, quando ha richiesto il prolungamento oltre i 40 anni per la centrale nucleare di Krsko (a circa 130 km in linea d’aria da Trieste). Ah già, per i suoi 32 reattori da almeno 900 MW per i quali chiedeva il prolungamento oltre i 40 anni, la Francia se ne è sostanzialmente impipata di seguire la normativa — ma quale Via con l’Italia! Sono solo quattordici i reattori nucleari entro 200 km di distanza dal confine italiano. Ma adesso che qui in Italia siamo entrati in regime di “sovranità energetica nazionale” saranno sorci verdi per gli sfrontati Galletti!
Erosione, corrosione, infragilimento da bombardamento neutronico? “Bétise!”, esclamano i discendenti di Vercingetorix, con un sussiego di superiorità ortogonale al plebeo “minchiate!” di Montalbano. E De Gaulle, vedendo dal cielo il ritardo ormai grottesco della centrale di Flamanville — sì, il reattore EPR che Sarkozy voleva rifilare a pacche sulle spalle all’ingenuo Berlusconi — e che, ciò nonostante, quella testa vuota di Macron vagheggia un piano nucleare con altri EPR, ha bofonchiato: “Ceux de ‘La République en Marche’ sont comme le Belges”. E ha deciso di apparire in sogno a Luc Rémont, ceo dell’EdF: tra un “pff” e l’altro, gli ha suggerito — come solo un generale sa fare — di studiare una prolungabilità secolare per i reattori transalpini in esercizio, per mettersi al riparo da quegli sputtananti ritardi per i nuovi EPR. “Come gli stupendi anfiteatri di Nimes e di Arles nella Gallia Transalpina”, stava per aggiungere, ma il “Gallia” gli è andato di traverso e ha preferito soprassedere. © RIPRODUZIONE RISERVATA