Balza agli occhi la mancanza di un progetto industriale per il Sud e la tendenza della classe imprenditoriale e politica di ricercare solo rendite immediate in termini di consenso o di profitto. Le istituzioni non hanno assunto come strategico il lavoro industriale, e la politica fiscale non ha privilegiato la dimensione aziendale, né ha favorito la progressione impositiva e la redistribuzione dei redditi, né la solidarietà. La disuguaglianza sociale, resa cronica dal sistema fiscale, non è solo ingiusta: blocca e fa regredire l’intero apparato produttivo. Di fronte a dati strutturali drammatici, la nuova cultura antimeridionale tocca i vertici più alti degli ultimi vent’anni e i fondi del Pnrr non riequilibrano il Paese. Come è potuta accadere una rimozione profonda e prolungata delle rilevanze scientifiche, sociali e morali, del pensiero meridionalista?
◆ L’intervento di ALESSIO LATTUCA, presidente Movimento per la sostenibilità
Purtroppo le istituzioni non hanno assunto come strategico il lavoro industriale. Prevale ancora la cultura del superamento dell’industria e del piccolo è bello che ha danneggiato l’economia e l’innovazione in Italia. Così come la politica fiscale non ha privilegiato la dimensione aziendale, né ha favorito la progressione impositiva e la redistribuzione dei redditi, né la solidarietà. Va ricordato, in proposito, un elemento esemplare: in uno degli ultimi Consigli dei ministri, la proposta di Draghi di esentare dal taglio dell’Irpef i redditi al di sopra dei 75000 euro, per un contributo di solidarietà alle fasce più basse, è stata sonoramente respinta.
Passiamo ad altri elementi. La disuguaglianza sociale, alimentata e resa cronica dal sistema fiscale, non è solo un’espressione di ingiustizia, ma blocca e fa regredire l’intero apparato produttivo. Secondo i dati Ocse, il nostro Paese registra un’altissima percentuale di analfabetismo funzionale e, secondo l’Istat, il numero dei poveri assoluti e di poveri relativi è aumentato a dismisura. Un paese reale che registra un pericoloso disagio ed enormi, irrisolti, problemi strutturali, rappresenta un paese balcanizzato e privo di rotta. Mentre la ricchezza privata si accresce a dismisura e permane la più elevata al mondo (come ricorda periodicamente la Banca d’Italia), il Paese lesina risorse pubbliche alla Scuola, all’Università, ai Comuni, alla Sanità, alla Pubblica amministrazione, al territorio, al Mezzogiorno.
A proposito di Mezzogiorno, è evidente che oggi − dopo circa 20 anni di totale disinteresse, o peggio di abbandono − la “questione” segna il punto più alto dell’emergere della nuova cultura antimeridionale. Alla luce, anche, dei processi in corso per l’assegnazione dell’autonomia differenziata alle regioni più ricche del nord e per gli equivoci insorti in merito all’assegnazione dei fondi de Pnrr destinati dall’Ue al Sud, nonostante le condizionalità imposte dall’Ue, come da consuetudine, registrano le note ingiustizie. Tale insopportabile comportamento è uno dei sintomi del collasso del Paese e del fallimento delle tanto sbandierate quanto inutili politiche del cosiddetto riequilibrio.
A tutto ciò, unitamente alla progressiva crescita della povertà, alla inflazione che impoverisce il ceto medio, si aggiunge la situazione di incertezza sul fronte economico e sociale che la guerra in Ucraina ha aperto e che potrebbe determinare un impatto sulla crescita e sulla tenuta sociale e democratica del Paese. A cui si è aggiunta l’inflazione che sta creando guasti irreversibili. Piuttosto che mettere al centro la gestione della post-pandemia, il rallentamento dell’economia, il ripensamento della giustizia sociale il corretto impiego delle risorse del Pnrr per la riduzione delle disparità e per la risoluzione della “questione meridionale”, per vili interessi di bottega la politica governativa ha scelto di precipitare il Paese in una situazione aberrante.
Ebbene, se per il primo obiettivo la strada per il governo è stata perlopiù in discesa, trattandosi di spartire dei soldi, seppure a debito, il secondo obiettivo s’è rivelato una completa debacle. Rispondere con sincerità a questa domanda è un passaggio indispensabile da compiere per chiunque desideri, davvero, cercare una via di uscita da indicare al Paese. E per tentare di evitare il prevedibile conflitto e la rabbia generata dalla prolungata regressione economica e sociale. © RIPRODUZIONE RISERVATA