Governo giapponese e società elettrica sostengono che non c’è spazio per altre cisterne, oltre alle 1000 che già raccolgono l’acqua contaminata, e la contaminazione dovuta solo al trizio non dovrebbe preoccupare. Ma la Tepco, esercente la centrale nucleare, racconta balle, avallate dalle autorità pubbliche. Nelle cisterne ci sono, infatti, ben 62 radionuclidi, fra cui carbonio 14, cobalto 60, iodio, cesio e plutonio. In più tira anche sui costi della decontaminazione. Lo aveva già fatto con il muro di protezione dell’impianto, alto poco più di sei metri per risparmiare sul cemento: dalla serie storica degli tsunami nell’area, noto alla stessa Tepco, risultava un’onda d’urto che un secolo prima aveva superato i 10 metri
L’analisi di MASSIMO SCALIA, fisico
¶¶¶ Le settimane scorse furoreggiava il problema dello sversamento nell’Oceano Pacifico, a partire dal 2022, dell’acqua contaminata per il raffreddamento dei “noccioli” dei tre reattori che hanno subìto il meltdown a Fukushima [nota 1]. Vale ancora parlarne visto che, mettendo da parte i cenni di sdegno di coloro che amano trasalire davanti alle nequizie del capitalismo – poverelli, non se ne erano accorti quando sostenevano la scelta nucleare –, a far velo all’informazione corretta continuano a essere le balle della Tepco, la società elettrica esercente la centrale nucleare di Fukushima, costantemente avallate dal Governo giapponese.
Come peraltro era successo ai tempi della catastrofe, è una vicenda intessuta di sciatteria progettuale – il combustibile di alimentazione degli auto generatori elettrici, spazzato via sul pavimento dall’onda dello tsunami, non poté innescare l’intervento delle pompe ausiliarie per il raffreddamento dei noccioli – e di vera e propria venalità. Infatti il molo di protezione era stato costruito con un’altezza di poco più di sei metri, per risparmiare, quando alla stessa Tepco risultava ‒ dalla serie storica degli tsunami nella stessa area ‒ un’onda d’urto che, un secolo prima, aveva superato i 10 metri.
Già quest’ultimo interrogativo riconduce alla perdurante inadeguatezza della Tepco. Il sistema di decontaminazione dei liquidi si è rivelato, infatti, una bufala. La tecnologia usata – Alps – garantirebbe a valle della decontaminazione livelli di radioattività inferiori a quelli previsti dagli standard richiesti per consentire il rilascio dei vari radionuclidi nell’ambiente. Peccato che il 70% dell’acqua “decontaminata” contenuta nelle oltre mille cisterne ecceda quei valori, come afferma un documento (febbraio 2020) di una sottocommissione del Meti (ministero Economia, Commercio e Industria) giapponese, istituita per affrontare la questione dell’acqua ritrattata da Alps [nota 2]. Questa débâcle è tutta ammantata dei colori del Sol levante, perché a suo tempo fu rifiutata una tecnologia americana in favore della Hitachi e della Toshiba (settore nucleare), entrambe sprovviste di significative esperienze nel ritrattamento di acqua radioattiva [nota 3].
Ma a che cosa è dovuto lo scarto tra le performances previste per il sistema Alps e il livello di radioattività che non consente di immettere nell’ambiente le acque ritrattate? La capacità di Alps di filtrare varrebbe per i radionuclidi presenti eccetto che per il trizio, «other than tritium», e il responsabile si identifica chiaramente nel trizio [nota 2]. Ma allora la Tepco non avrebbe tutti i torti: la vita media di questo radionuclide non arriva a diciotto anni, e soprattutto il suo tempo di vita biologico nell’organismo dura assai meno: diciassette giorni. E in tutto il mondo ogni centrale nucleare operativa scarica a mare decine di terabecquerel/anno; i reattori ad acqua pressurizzata ‒ pwr ‒, lo fanno molto di più dei meno diffusi bwr ad acqua bollente. Per non parlare degli impianti di riprocessamento (Sellafield, La Hague). Scarichiamo a mare, allora!
Che cosa è stato fatto finora su queste criticità? E, al di là della complessità delle operazioni e delle perdite che hanno obbligato a sostituire molti tanks con altri appositamente saldati, resta l’interrogativo di fondo su quale sia per davvero l’efficienza di decontaminazione di Alps rispetto allo spettro dei ben 62 tipi di radionuclidi presenti. […]
[Il seguito dell’analisi sarà pubblicato integralmente nel numero 7 del magazine quindicinale in uscita il 15 maggio prossimo]. ♦ © RIPRODUZIONE RISERVATA