Nel bilancio di Berlusconi scomparso c’è una frase ricorrente, sintesi che viene da molte parti, che lo definisce l’uomo che ha cambiato l’Italia e gli italiani. Non è così: Berlusconi è l’uomo che assecondava gli italiani, in un modo che unisce qualcosa di vecchio (e si può risalire nientedimeno che a Francesco Giuseppe) con qualcosa di nuovo, che lui effettivamente ha capito prima di tutti ed ha saputo usare con abilità a suo vantaggio. Ha intuito la società liquida, ha saputo mettere insieme con spregiudicatezza Lega e gli eredi del fascismo. Ecco le sue luci e le sue ombre, senza pregiudizi e senza grottesche beatificazioni
L’analisi di MASSIMO SCALIA
“L’UOMO CHE HA cambiato l’Italia e gli Italiani” è stato il leitmotiv dei servizi Tv e giornalistici che hanno accompagnato la scomparsa di Silvio Berlusconi. Dissento e propongo uno slogan diverso, che mi sembra più congruente col ruolo svolto da Berlusconi, con la sua presenza non solo politica: “L’uomo che ha assecondato gli Italiani”.
Attenzione, è una costante storica generale di molti capi politici, una caratteristica non limitata ai soli conducador cari al populismo. Basti ricordare i famosi favoriti di Francesco Giuseppe, non una moda lanciata da lui, ma il suo volersi identificare con i suoi sudditi tra i quali i favoriti erano in voga. Nelle ondate di populismo che hanno travolto l’Europa del XX secolo penso che si potrebbero scrivere libri — molto è stato detto — sul come la sintonia del capo con i suoi concittadini, il suo essere benvoluto da una larga maggioranza, si nutriva di una condivisione di comportamenti largamente diffusi e popolari. Un’ideologia vincente: da Mussolini a Hitler, da Stalin a Peron, per restare ai più noti.
Che cosa ci ha messo di suo Berlusconi? Beh, innanzi tutto l’aver intuito che la società stava davvero diventando “liquida”, secondo la “profezia” che Zygmunt Bauman avanzerà alla fine degli anni Novanta. Quindi non era più tempo di “corpi solidi” – partiti, sindacati, organizzazioni di massa – e la stessa politica doveva avere riferimenti diversi, più “fluidi”. Perché, ad esempio, costruire faticose riunioni “di base”, oltre tutto in luoghi generalmente poco salubri, quando, senza neanche spostarsi di casa, la Tv può surrogare la sezione di partito? E poi — questo tradizionale in ogni populismo — il rapporto diretto del capo coi cittadini, che scavalca non solo i partiti, sempre più inadeguati, ma gli stessi rappresentanti eletti dal “popolo sovrano”.
Inutile negare che ovunque abbia messo mano ha avuto trionfi, dal calcio alle televisioni, purtroppo anche nel settore immobiliare, demandando per questo “purtroppo” ad altra sede. Insomma, uno con grandi capacità di lavoro e tenacia, “uno che si fa il mazzo”, ma un mazzo di incredibile successo. E, politicamente, l’aver messo insieme gli ex fascisti, rigorosamente statalisti e forti nel Centro Sud, con i Leghisti, secessionisti della “fabbrichetta” e forti nel Nord, è stata una lungimirante strategia politica, che, al contrario di quella grillina fondata poco più che sul “vaffa” e quindi dal destino oscillante e incerto, ha radicato una forza politica sostanzialmente unitaria, il Centrodestra, in grado di esprimere un governo stabile. Uno schiaffo all’incapacità storica della Sinistra di costruire quel “fronte ampio”, che ha vissuto l’effimera, purtroppo, stagione dell’Ulivo, sabotato da dentro e addirittura con un Governo fatto cadere per gli equilibri interni di un partitello molto “rifondante”. “Affondante”, in quel caso, ahimè storico.
Sul Berlusconi imprenditore è difficile negare che lo sia stato in modo decisamente meno parassitario del celebrato “Avvocato”, imbattibile mungitore delle mammelle dello Stato. Una fortuna opaca? Forse, ma quando nel giro di meno di un anno Mediaset passò da un profondo rosso, oltre 4.000 miliardi di vecchie lire, a essere quotata in borsa (1996) – sì, si sa, il salotto buono di Mediobanca, cioè Cuccia – che cosa disse o fece il segretario del maggior partito di opposizione? Pippa. “In tutt’altre faccende affaccendato”, e le migliaia di lavoratori impiegati nelle aziende del tycoon saranno sembrate ragion sufficiente. Già, ma allora non si diceva.
E il segretario del maggior partito d’opposizione, dopo la scoppola subita dalla «gioiosa macchina da guerra» (1994), ha covato a lungo il sogno personale di essere il grande contendente che avrebbe sconfitto il Cavaliere. Infatti, la Bicamerale … e poi, dopo la successione a Prodi, quel piano inclinato che, primo premier ex comunista, lo portò a “scendere in campo”, del tutto gratuitamente nelle regionali del 2000. Mal consigliato dal suo ghost writer — «siamo avanti in dieci Regioni su quindici» —, pagò con le dimissioni il prezzo di una cocente sconfitta politica, sua, e, ahimè, di tutto il Centrosinistra. E con un profilo decisamente più basso negli anni a seguire.
E Berlusconi e la mafia? Penso più a una vittima consenziente, ma varrà la pena di tornarci sopra con una riflessione ad hoc. Allora, tutto sommato… No, perché di suo Berlusconi ci ha messo una robusta spinta a far rotolare verso il basso la morale pubblica, quel “pensare a sé stessi e, al più, ai primi vicini” che Guicciardini consigliava con aristocratica ironia come linea di condotta per la borghesia nascente. Poi sarebbe arrivata la Controriforma a spezzare la morale in precettistica, ad annebbiare il senso di responsabilità così vivo invece nella cultura Protestante. A instradare questo Paese per una china che non c’era davvero bisogno che un uomo molto importante e ascoltato incoraggiasse.
E non posso attribuire solo a Berlusconi l’obnubilazione rispetto alla gravità della crisi climatica. «Stiamo parlando di eventi che sono lontani nel tempo da noi quanto noi dall’impero romano» mi rispose nel dibattito sulla fiducia del suo primo governo (1994). E questa è la cultura media del Centrodestra. Assai grave, allora, che i vari Bonaccini, e quel poveraccio del sindaco piddino di Ravenna, solo per citare gli ultimi in ordine di tempo, continuino a ripetere oggi idiozie dal sapore negazionista, o criminale quando ci si impegna per «rifare tutto come prima». Oggi, dopo la presentazione del VI Rapporto Ipcc, è il Segretario delle Nazioni Unite, António Guterres, ad affermare a proposito di crisi climatica: «Siamo sull’autostrada per l’inferno, col piede sull’acceleratore».
Già, ma giustizia sociale e giustizia climatica non appaiono alla Sinistra come due facce della stessa medaglia e l’“ambiente”, si sa, non è un tema “complessivo”. Con buona pace della “Laudato si’”. © RIPRODUZIONE RISERVATA