La campagna elettorale conferma il divorzio della società dalle rappresentanze politiche

Gli “opposti”, che si dovevano confrontare perché gli elettori pervenissero alla “sintesi”, sono rimasti sostanzialmente indefinibili, se non per un pre giudizio che lega storicamente la sinistra alla volontà di cambiare a favore dei più deboli, e la destra alla volontà di conservare, in favore dei più forti cui va la fiducia come capacità di governare. Un pre giudizio che, sulla base della campagna, non si è potuto davvero trasformare in un post giudizio. Il centrosinistra aveva l’obbligo epocale di costituirsi attorno alla sfida dell’economia e della società in grado di affrontare la crisi globale del clima. E dirlo con chiarezza e determinazione ai suoi potenziali elettori. La Destra non ha avuto problemi. Sembra godere di una fiducia incondizionata. Avevo pregato, all’inizio, di lasciar perdere con l’accusa di un improbabile fascismo come mission di Giorgia. Troppo ascoltato, santo cielo! Mai visto un sistema mediatico così benevolente a prescindere


L’articolo di MASSIMO SCALIA

NON HO RIMPIANTI per quelle che valutavo da giovane — assai schematicamente, è vero — come fumisterie teutoniche e che obbligavano alcuni miei amici, magari in ansia di equanimità, a bilanciare col più fumoso dei palloni di Hegel, “La fenomenologia dello spirito”, i quintali di Marx che ci leggevamo. Ancor meno poi, figuriamoci, per la versione “alla strozzapreti” che opponeva agli “opposti” hegeliani il “nesso tra distinti” (Benedetto Croce). Francamente, capivo a fatica il nesso tra Bruno e Spinoza, ma almeno mi sembrava di stare a un livello superiore di comprensione del mondo. Peraltro, in buona compagnia, stando alle parole di Goethe. Eppure, questa campagna elettorale ha avuto un che di hegeliano, per sottrazione. Gli “opposti”, che si dovevano confrontare perché gli elettori pervenissero alla “sintesi”, sono rimasti sostanzialmente indefinibili, se non per un pre giudizio che lega storicamente la sinistra alla volontà di cambiare, a favore dei più deboli, e la destra alla volontà di conservare, in favore dei più forti cui va la fiducia come capacità di governare. Un pre giudizio che, sulla base della campagna, non si è potuto davvero trasformare in un post giudizio. Allora un “nesso tra distinti”? Sì, “alla strozzapreti”! 

Politics e contenuti si sono allontanati ancora di più nel lungo bla bla elettorale

Sono veri, mi si permetta di insistere, il divorzio della società dalle rappresentanze politiche [leggi qui] e pure quello, più preoccupante, della politica dai contenuti [leggi qui]. E saranno anche tratti comuni alla maggior parte delle democrazie occidentali, ma qui da noi si esagera sempre. Per davvero. Il centrosinistra aveva l’obbligo epocale di costituirsi attorno alla sfida dell’economia e della società in grado di affrontare la crisi globale del clima: “Non c’è più tempo”. E dirlo con chiarezza e determinazione ai suoi potenziali elettori. Oltre tutto votano oggi per il Senato anche i diciottenni. Si sarebbe forse perso perché c’è uno zoccolo duro, maggioritario, che crederà solo quando sarà obbligato a calzare tutti i giorni le galoche? Magari pronto a piangere i morti delle Marche, ma anche a dimenticarsi rapidamente il perché. Può essere, ma almeno si sarebbe provato a dare senso alla politica e a recuperare, dal “divorzio”, interi settori cultural-politici.

La Destra non ha avuto problemi. Sembra godere di una fiducia incondizionata. Quando imperava il vegliardo puttaniere, allora autoproclamatosi sexual contender dei trentenni, spirava un vento che sembrava nuovo e una parte significativa del suo elettorato lo avrebbe applaudito anche se lo avessero colto a infastidire la Madonnina, sì quella sul pinnacolo più alto. E anche tra la massa degli avversari sarebbero scappati molti: “Accidenti, ha una marcia in più!”. Ora il vegliardo ripete stancamente “tagliare le tasse”, neanche fosse uno dei bostoniani del “tea party” contro l’odiosa tassa di re Giorgio. Salvini è diventato sempre più inguardabile, anche per i suoi elettori, che affluiscono sempre più copiosi sui lidi dei FdI. Se la campagna durava un altro po’ sarebbe probabilmente svanito come quei gas che non lasciano traccia se non di cattivo odore. Tutto è ricaduto su Giorgia, che se l’è cavata alla grande. Avevo pregato, all’inizio, di lasciar perdere con l’accusa di un improbabile fascismo come sua mission. Troppo ascoltato, santo cielo! Mai visto un sistema mediatico così benevolente a prescindere. E sì, perché di che cosa voglia fare lei al governo di questo Paese si è sentito assai poco. E quel poco, in contrasto con la vivacità del personaggio, assai poco caratterizzante. 

Tutte le foto che illustrano la pagina sono un memento inascoltato delle mobilitazioni dei ragazzi di Friday For Future rivolto a tutte le forze politiche

Una brutta figura, almeno rispetto alla sua ansia di sedersi nel salotto buono della Ue, l’hanno fatta fare a Giorgia i suoi, quando si sono schierati contro la mozione del Parlamento europeo, il 15 settembre scorso, che denunciava Orbán e il suo regime per quel che sono: «regime ibrido di autocrazia elettorale, non è più una democrazia compiuta». Costringendola, poi, a vistose pezze a colore per giustificare quel voto. Peggio, i FdI si sono spaccati, sempre in quella seduta, votando due a favore, due contro e quattro non partecipando sulla trasparenza dei finanziamenti ai partiti. La Lega, che male odora — e forte — di emolumenti da Mosca, si è astenuta in massa. Mica bazzecole, al punto che lo stesso Berlusconi, rinunciando a una delle sue “cene eleganti”, ha tuonato che FI non parteciperà al governo della destra se non sarà chiara la sua vocazione europeista. Una tirata alle orecchie di Giorgia, improvvisamente contrattasi nel suo avatar “Gollum” [leggi qui]. 

E dopo tanto bipartisan imperare di atlantismo, che inevitabilmente va accoppiato a europeismo ancor più mentre si protrae lacerante la guerra in Ucraina, quei vistosi passi falsi avrebbero dovuto scuotere l’elettorato di destra. Lega a parte, che si è ormai costituita in un ridotto affossato dalle corbellerie inestinguibili del “capitano”. In un Paese, poi, dove ormai solo pochi scimuniti, politicamente si intende, si proclamano fieri avversari dell’Europa in nome di un’irrinunciabile sovranità nazionale — sì, e quel pacco di oltre 200 miliardi, ultimo dei benefici di questo decennio, te li dava la sovranità nazionale! — e tutti fremono di europeismo neanche fossero Zelensky! Beh, se ne è visto cenno in qualcuno degli ultimi sondaggi? Vele al vento per Giorgia, anche quando assomiglia un po’ a Gollum. Quegli strozzapreti, nesso dei distinti, che la campagna elettorale ha offerto agli elettori delle variegate sponde che esito avrà? Il sospetto è che in fin dei conti a moltissimi elettori piacciano gli strozzapreti, anche parecchio sconditi.  © RIPRODUZIONE RISERVATA

Scienziato e politico, leader del movimento antinucleare e tra i fondatori di Legambiente. Primo firmatario, con Alex Langer, dell’appello (1984) per Liste Verdi nazionali. Alla Camera per i Verdi (1987-2001) ha portato a compimento la chiusura del nucleare, le leggi su rinnovabili e risparmio energetico, la legge sul bando dell’amianto. Presidente delle due prime Commissioni d’inchiesta sui rifiuti (“Ecomafie”): traffici illeciti nazionali e internazionali; waste connection (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin); gestione delle scorie nucleari. Tra gli ispiratori della Green Economy, è stato a fianco della ribellione di Scanzano (2003) e consulente scientifico nelle azioni contro la centrale di Porto Tolle e il carbone dell’Enel (2011-14). Co-presidente del Decennio per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile dell’Unesco (2005-14). Tra i padri dell’ambientalismo scientifico, suo un modello teorico di “stato stazionario globale” (2020) (https://www.researchgate.net/profile/Massimo-Scalia)

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