Per l’Ocse, i 1500 miliardi di dollari all’anno generati dalle risorse marine (1,5% del Pil mondiale) potrebbero raddoppiare entro il 2030. A quale prezzo, non essendoci sul Pianeta nessun pasto gratis? Nei fondali marini ci sono terre rare, giacimenti di rame, cobalto, manganese, nichel, materie prime al centro della transizione energetica. L’ambiente subacqueo è, in definitiva, un nuovo dominio di rilevanza globale, un luogo del confronto tra potenze per l’accesso alle ingenti risorse minerarie, energetiche e proteiche e per lo sviluppo scientifico e tecnologico. Siglato un “Patto con il Mare per la Terra” di solidarietà e interdipendenza. Un Forum tra ricercatori, imprenditori e cittadini per rendere sostenibile l’economia del mare, per l’Italia un territorio nazionale di estensione doppia rispetto a quella dell’ambiente terrestre. Avviata dall’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo con il suo presidente Carlo Petrini, la sfida è mantenere l’ecosistema marino in salute per invertire il suo ciclo di declino
► La maggiore conoscenza della risorsa mare e la mappatura dei fondali marini oceanici sono diventati una vera priorità a livello internazionale, giustificata dal fatturato annuo della cosiddetta Blue Economy, dal momento che l’Ocse stima che la cifra pari a 1500 miliardi di dollari, cioè pari al 1,5% del Pil mondiale, e potrebbe raddoppiare entro il 2030. Ecco perché nello scenario geopolitico futuro il mare, che è ha da sempre assunto un ruolo fondamentale, diventerà ancor più decisivo. Nei fondali marini si trovano, infatti, le cosiddette terre rare, vale a dire 17 elementi decisivi nell’economia e nello sviluppo delle tecnologie, che invece si stanno esaurendo sulla terraferma. I vasti giacimenti di rame, cobalto, manganese, nichel e le terre rare costituiscono le materie prime della transizione energetica, ragion per cui l’International Seabed Authority (Isa) avrà sempre più un ruolo fondamentale nella gestione delle controversie. Si pensi al recente caso determinatosi con la Repubblica di Nauru, piccolissimo Stato insulare del Pacifico, il cui Presidente, chiedendo all’Onu di procedere, entro il 2024, allo sfruttamento minerario dei fondali non statali, ha fatto partire un negoziato per giungere alla realizzazione di un codice minerario di profondità.
In riferimento al nostro Mediterraneo, ha sottolineato Giuseppe Berutti Bergotto, la recente scoperta dei giacimenti di gas ha avviato un effetto domino, generando «un quadro complessivo ancora tutto da definire con ampie ed irrisolte aree di potenziali attriti e competizioni tra Paesi, anche tradizionalmente amici». Ma ciò che Berutti Bergotto più di tutto evidenziava era che, se «la tecnologia è essenziale ed è il motore della dimensione subacquea, non è sufficiente a garantire un ordinato, sicuro e sostenibile accesso agli spazi subacquei». Si rende necessario garantire capacità di monitoraggio e funzioni di coordinamento attraverso un adeguamento delle normative nazionali ed internazionali, istituendo altresì un’Autorità nazionale per il controllo del traffico subacqueo, basata dal punto di vista operativo su una piattaforma tecnologica già esistente presso la centrale operativa multidominio Marina di Santa Rosa (Roma). Essa «permetterebbe di ottenere la piena consapevolezza delle attività subacquee svolte negli spazi marittimi di interesse nazionale e di raccordarsi con le attività di controllo degli Stati», diventando il referente unico anche al fine di semplificare i processi autorizzativi per le operazioni subacquee.
Nel frattempo, nel pieno del Decennio del mare, per rimarcare la necessità di tutelare questo bene comune indispensabile per la salute ed il benessere in Italia è stato siglato il ‘Patto con il Mare per la Terra’, un patto di solidarietà e interdipendenza. Un Forum permanente tra ricercatori, imprenditori e cittadini: chi aderirà si impegna a portare avanti politiche di sostenibilità dell’economia del mare, visto che il territorio marino nazionale è di estensione doppia rispetto a quella dell’ambiente terrestre. Per non dimenticare che il mare è, prima ancora che un fattore economico ambientale e culturale, l’habitat dal quale storicamente proveniamo ed al quale rimarremo sempre legati in senso infinito. La nostra stessa estensione umana non può prescindere dal mare sia in senso antropologico-filosofico-sociologico sia in senso biologico, per cui difendere e salvaguardare il mare significa proteggere la nostra stessa vita e quella del pianeta.
Il ‘Patto del Mare con la Terra’, realizzato dall’Università di scienze gastronomiche di Pollenzo (Unisg) e attraverso il suo presidente Carlo Petrini è stato presentato al ministero dell’Agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, è un progetto nato non solo per favorire la cultura della sostenibilità nell’economia del mare ma anche per promuovere la conoscenza di quello che viene definito «il nostro capitale naturale più importante». Questo ‘Patto’ sottolinea come il valore della sussidiarietà sia fondamentale per costruire una visione condivisa, coerente ed efficace proiettata a gestire le sfide globali. Infatti è di pochi mesi fa, precisamente del 5 marzo 2023, l’accordo delle Nazioni Unite stipulato a New York sulla protezione della biodiversità marina nelle aree al di fuori delle giurisdizioni nazionali. Con norme molto dettagliate in materia di risorse genetiche marine e di valutazione d’impatto ambientale, l’accordo raggiunto − che non era scontato − mira a garantire che le attività antropogeniche nell’alto mare siano condotte in modo sostenibile. A pieno regime l’accordo denominato Bbnj, Biodiversity Beyond National Jurisdiction, diventerà ‘la Bibbia’ degli operatori internazionali, visto che in base ad esso si potranno adottare anche misure di gestione delle aree di alto mare, fissando le regole e le limitazioni delle attività economiche, inerenti la pesca e lo sfruttamento dei fattori non viventi (acqua, rocce, fondali, etc.).