A fine luglio è andata in pensione una delle due oncologhe del Centro senologico della Capitale. La pianta organica ne prevede due. Senza assumere la seconda la struttura sarà chiusa. Ad avvantaggiarsene sarà la sanità privata, a rimetterci tutte le donne
A fine luglio è andata in pensione un’oncologa, nel centro di senologia è rimasta solo la responsabile, la professoressa Maria Luisa Basile, e un radiologo. Senza la presenza in organico di due oncologi la struttura è destinata però a chiudere. Parliamo di un un pronto soccorso oncologico conosciuto in tutt’Italia, dove ogni donna finora è potuta andare senza appuntamento ed essere visitata e diagnosticata in giornata. Grazie alla tempestività della diagnosi, ha salvato centinaia di donne. Un impoverimento assurdo e inaccettabile della sanità pubblica a vantaggio della sanità privata, che suscita indignazione non soltanto nelle pazienti, private di una struttura avanzata per la prevenzione della salute della donna.
A dar voce alle preoccupazioni diffuse è stata Cittadinanza Attiva: «Non mi aspetto che si facciano sentire solo le persone colpite da tumori di qualsiasi tipo — ha detto Stella Zaso, portavoce del movimento di difesa del malato a Roma — mi aspetto che tutti sappiano che vogliono chiudere un centro che, per la tempestività della diagnosi, ha salvato finora la vita a centinaia di donne». Da parte sua, il Direttore generale dell’Umberto I ha rassicurato che per ora il Centro continua ad operare come da delibera regionale. © RIPRODUZIONE RISERVATA