Oltre quarant’anni fa, era il 1979, lo Scià fu cacciato dall’Iran a colpi di manifestazioni di moltitudini di uomini, e donne allora rigorosamente in nero, che inalberavano colossali foto di Khomeini. Una ‘primavera’ che durò assai poco, per lasciar luogo, con il ritorno di Khomeini da Parigi dove era esiliato, a quella teocrazia in vigore ancora oggi. «Un regime che, in tutti questi anni, non ha mai subìto veri scossoni, nemmeno negli anni nei quali, a centinaia di migliaia, morirono nella guerra contro l’Iraq di Saddam, probabilmente la più inutile carneficina degli ultimi decenni», scrive col suo nickname Jack Daniel, un “giovane scrittore sessantenne”. Un’altra manifestazione, dopo quella scarna di sabato, si sta programmando per il 10 dicembre, per quel sangue sparso, per le libertà e i diritti così violentemente negati dalla repressione che dilaga da due mesi. Ci voglio essere senza esitazioni, con dei giovani che rappresentano un Paese la cui popolazione ha un’età media di 27 anni

Qui in alto e sotto il titolo, le proteste delle donne iraniane contro la morte di Masha Amini, per la libertà e i diritti violentemente negati

L’articolo di MASSIMO SCALIA

NON POSSO METTERE mano alla tastiera per scrivere di Iran senza premettere la mia delusione per il clamoroso “buco” in materia della mia prediletta Italia Libera Online. Sono passati ormai quasi tre mesi, nel silenzio della nostra testata, da quando si è scatenata in Iran una ribellione, partita dall’assurdo omicidio di una donna da parte dei pasdaran del regime e poi dilagata in manifestazioni, cortei, università in rivolta. E altre centinaia di vittime e feriti a opera di feroci delinquenti che ben rappresentano i preti musulmani che hanno imposto da oltre quarant’anni la loro teocrazia. Insomma, a fronte degli eventi, il “buco” mi ha un po’ ricordato quello della stampa francese che ignorò il disastro di Chernobyl per due settimane — potenza dell’atomo, e della grandeur! — fino alla manifestazione dei duecentomila che si tenne a Roma il 10 maggio (1986). Esagerato! Non tanto, rispetto all’importanza di quanto sta succedendo in Iran, almeno seguendo le riflessioni suggerite da Jack Daniel su Fb, al cui nucleo esplicitamente mi rifaccio. 

Teheran, 1979. Fiumana di donne e uomini per le piazze della capitale per la cacciata dello Scià dall’Iran

Oltre quarant’anni fa, era il 1979, lo Scià fu cacciato dall’Iran a colpi di manifestazioni di moltitudini di uomini, e donne allora rigorosamente in nero, che inalberavano colossali foto di Khomeini. C’erano anche molti laici e vari settori sociali, tanto da accreditare interpretazioni che il regime “imperiale”, appoggiato dagli Americani e che rivendicava una del tutto improbabile discendenza diretta con le grandi dinastie della Persia, andava ormai stretto a nuovi emergenti protagonismi economico sociali e culturali. Una ‘primavera’ che durò assai poco, per lasciar luogo, con il ritorno di Khomeini da Parigi dove era esiliato, a quella teocrazia in vigore ancora oggi. «Un regime che, in tutti questi anni, non ha mai subìto veri scossoni, nemmeno negli anni nei quali, a centinaia di migliaia, morirono nella guerra contro l’Iraq di Saddam, probabilmente la più inutile carneficina degli ultimi decenni», scrive col suo nickname il “giovane scrittore sessantenne”.

La rivoluzione khomeinista comportò conseguenze che allora nessuno riuscì a immaginare e proporre. E fu epocale perché «fu la prima volta, nell’epoca contemporanea, che la religione tornò ad essere movente e causa principale dell’azione politica». Le rivolte e le guerre, dall’Algeria al Vietnam, dall’Egitto alla Siria al sempiterno conflitto israelo-palestinese erano state fino ad allora inquadrate, e a ragione, in motivazioni politiche o economiche, o entrambe. Non certo religiose. 

I soldati iraniani controllano dall’alto la fiumana di donne e uomini in rivolta da tre mesi per libertà e diritti

Dopo l’avvento della teocrazia in Iran le cose sono cambiate. Nell’Algeria, ormai indipendente, scoppiò, lungo e sanguinoso, il conflitto tra il governo e i fondamentalisti del Fis (Fronte Islamico di Salvezza); in Egitto, quello coi Fratelli musulmani. E su analoga strada si muove Erdogan, che dal paese laicizzato da Ataturk sembra voler tornare, all’indietro, verso un regime confessionale. In Europa, nel conflitto conseguente al crollo della Jugoslavia, le religioni — cattolica, ortodossa e musulmana — svolsero un ruolo fondamentale. E tremendo. Ça va sains dire che l’Isis e, addirittura, il “califfato”, sono un richiamo, aberrante, alla religione, ma persino nella guerra scatenata contro l’Ucraina «vediamo che gli invasori russi sentono il bisogno di una qualche giustificazione di tipo religioso, quando blaterano di satanismo e Santa Madre Russia e scemenze del genere. E gli esempi potrebbero continuare a lungo. Quello che accadde in Iran alla fine degli anni ’70, quindi, plasmò in parte il mondo in cui viviamo».

Oggi, cioè negli ultimi quarant’anni, questa ripresa della religione come motivo politico fondante rivive soprattutto a opera dell’Islam. Sembra quasi che voglia colmare il ritardo, secolare, con il quale, le varie confessioni del cristianesimo hanno seminato nei secoli scorsi, all’insegna dell’alleanza trono-altare, crudeli repressioni e orrende carneficine. Ma sull’affermarsi nella storia umana delle “religioni del libro”, con le conseguenze del loro esclusivismo così ben illustrate da Jan Anssmann, si potrà tornare in sede storico-filosofica.

Quelle e quelli che in queste settimane scendono in piazza in Iran si battono, senza ombra di dubbio, per quei diritti fondamentali, per quei valori laici che stanno alla base delle nostre costituzioni. La solidarietà nei loro confronti, con le loro lotte e i loro obiettivi, contro la crudele repressione religiosa che arma gli assassini deve superare il restare incapsulati in pigre accettazioni dell’esistente, magari corroborate da complicate analisi geopolitiche. O nel pensare, ingenuo fino all’iniquità, che, poiché altre simili ribellioni ci sono state nel tempo, allora in qualche modo ‘se lo meritano’, visto che non usano il voto per liberarsi della teocrazia. 

Si sta programmando un’altra manifestazione per il 10 dicembre dopo quella striminzita di sabato 19 novembre, per quel sangue sparso, per le libertà e i diritti così violentemente negati. Ci voglio essere senza esitazioni, con dei giovani che rappresentano un Paese la cui popolazione ha un’età media di 27 anni. Nella speranza che «possa venir esportato l’amore per un sistema di valori, che è nuovo per quelle ragazze e quei ragazzi nati nella teocrazia, mentre per noi è vecchio e stanco, ma molto bisognoso di un buon ricostituente». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Scienziato e politico, leader del movimento antinucleare e tra i fondatori di Legambiente. Primo firmatario, con Alex Langer, dell’appello (1984) per Liste Verdi nazionali. Alla Camera per i Verdi (1987-2001) ha portato a compimento la chiusura del nucleare, le leggi su rinnovabili e risparmio energetico, la legge sul bando dell’amianto. Presidente delle due prime Commissioni d’inchiesta sui rifiuti (“Ecomafie”): traffici illeciti nazionali e internazionali; waste connection (Ilaria Alpi e Miran Hrovatin); gestione delle scorie nucleari. Tra gli ispiratori della Green Economy, è stato a fianco della ribellione di Scanzano (2003) e consulente scientifico nelle azioni contro la centrale di Porto Tolle e il carbone dell’Enel (2011-14). Co-presidente del Decennio per l’Educazione allo Sviluppo Sostenibile dell’Unesco (2005-14). Tra i padri dell’ambientalismo scientifico, suo un modello teorico di “stato stazionario globale” (2020) (https://www.researchgate.net/profile/Massimo-Scalia)

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