◆ L’estratto da “LE TASSE SONO UTILI”, edizioni Nutrimenti
► […] Dopo un cosiddetto ‘Concordato’ varato dal governo di Lamberto Dini a metà anni Novanta, il governo Berlusconi II approvò nel 2001 lo scudo fiscale, seguito dalla sanatoria fiscale del 2003 (legge 289/2002). Poi, di nuovo, inversione di marcia. Il secondo governo Prodi, tra il 2006 e il 2007, varò alcuni interventi contro l’evasione fiscale messi a punto dal viceministro Vincenzo Visco. Risultato: un aumento consistente delle entrate, pur in presenza di riduzione formale delle imposte. Quei denari, chiamati per la prima volta ‘tesoretto’, servirono per finanziare, tra l’altro, il taglio del cuneo fiscale. Ma un’ondata di proteste si diffuse in tutto il paese con tanto di manifestazione del Tax Day organizzata dalla Confcommercio. Da allora una sfilza di altri interventi salvifici per gli evasori sono stati varati in Italia da governi di ogni colore. Il successivo condono, di nuovo denominato scudo fiscale, risale al 2009, con il governo Berlusconi IV. Negli anni successivi – hanno ricordato ancora gli economisti de Lavoce.info – si segnalano altri quattro condoni. Nel 2015, il governo Renzi approvò la voluntary disclosure per l’emersione dei capitali all’estero. Nel 2018, il governo Conte I introdusse il saldo e stralcio, che prevedeva la possibilità di saldare solo una parte dei debiti fiscali ed estinguere la parte rimanente per soggetti in difficoltà economiche. Sempre nel 2018, furono anche annullati i debiti inferiori a 1.000 euro relativi al periodo tra il 2000 e il 2010. Nel 2021 il governo Draghi annullò i debiti fino a 5.000 euro relativi allo stesso periodo (decreto Sostegni). Nello stesso periodo, furono anche adottati provvedimenti di cosiddetta rottamazione: nel 2016, dal governo Renzi; nel 2017, con la ‘rottamazione-bis’, dal governo Gentiloni; e nel 2018, con la ‘rottamazione-ter’, dal governo Conte I. E non è finita qui. Secondo gli ultimi calcoli, solo l’ultimo governo in carica, quello di Giorgia Meloni, ne ha varati altri 14. Questo è dunque il tragitto che ha prodotto il sistema fiscale che vige attualmente in Italia: una specie di guazzabuglio, se guardiamo alle aliquote (le percentuali di prelievo) formali, e una lente opaca se consideriamo i risultati effettivi, perché sopravvive un numero talmente elevato di regole e regolette, compresi centinaia di interventi agevolativi, per cui spesso si capisce solo a posteriori quale sia davvero il peso concreto delle tasse.
Ma, intanto, vediamo le aliquote formali. Oggi sui titoli di Stato in Italia c’è una ritenuta del 12,5 per cento; su dividendi e capital gain c’è un prelievo del 26 per cento; sugli interessi bancari grava un’aliquota fiscale del 27 per cento; le società pagano il 26 per cento sugli utili di impresa e il 3,9 per cento per l’Irap, l’imposta regionale che in sostanza finanzia il servizio sanitario. L’Imu non si paga sulla prima casa e sul resto grava un prelievo stabilito da ciascun comune, in ogni caso non superiore all’1,06 per cento del valore catastale. Sugli affitti, se sono per abitazione e contrattati con le organizzazioni degli inquilini, si paga solo il 10 per cento di tasse sul canone annuo. Altrimenti il 22 per cento. Se invece l’affitto riguarda un negozio o un ufficio allora il canone annuo rientra nella somma di reddito del proprietario che poi, complessivamente, viene sottoposta all’Irpef. Quanto all’Irpef, dipende: i lavoratori autonomi possono pagare a forfait, se hanno un fatturato inferiore agli 85.000 euro l’anno: in questo caso versano al fisco il 15 per cento del 75 per cento del fatturato dichiarato. Senza tenere conto che, secondo il governo Meloni, quasi il 70 per cento del fatturato di questo comparto in genere viene nascosto al fisco. Tutti gli altri dal 2024 sono sottoposti a un prelievo organizzato su tre fasce di reddito e tre aliquote: fino a 28.000 euro l’anno di reddito (scontata una no tax area) si paga il 23 per cento; sulla quota di reddito superiore e fino a 50.000 euro l’anno, si paga il 35 per cento; sulla fascia più alta di reddito il fisco pretende invece il 43 per cento. Ognuno ha la sua tassa, insomma, come nel vecchio mondo delle corporazioni. Senza contare che poi in Italia c’è la corporazione che le supera tutte, quella di coloro che sfuggono al fisco e alla contribuzione. […]