Negli anni scorsi sono stati individuati 67 siti «potenzialmente idonei» ubicati in sette regioni da Nord a Sud (Piemonte, Toscana, Lazio, Puglia, Basilicata, Sardegna e Sicilia). Prevista per oggi la presentazione della Carta nazionale da cui scegliere il sito dei rifiuti nucleari a bassa e media attività. A Roma la Commissione scientifica sul Decommissioning ha fatto il punto sui due nodi cruciali per ottenere una soluzione condivisa a un problema accantonato: la destinazione finale dei rifiuti ad alta attività (o dai tempi di dimezzamento di migliaia o milioni di anni), e il diritto delle comunità locali di recedere dagli accordi sulla costruzione del deposito anche a lavori iniziati


ROMA, 15 MARZO (Red) — Aver salvaguardato che una parte del convegno vedesse una partecipazione di persona in un’aula, oltre a quella in streaming, ha conferito una certa vivacità e una immediatezza di risposte che, dal vivo, danno un maggior senso di realtà. Organizzato dalla Commissione scientifica sul Decommissioning il 25 febbraio scorso, il convegno: “Dalla Cnapi (Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee) alla Cnai (Carta nazionale delle aree idonee) – A che punto siamo?” voleva registrare lo stato dell’arte sull’annosa vicenda delle scorie radioattive del modesto parco nucleare italiano, spento ormai da più di trent’anni. Conclusa la seconda fase della consultazione degli stakeholder, la Sogin, la società pubblica incaricata del piano di gestione dei rifiuti radioattivi, dovrà difatti presentare entro oggi la Carta Nazionale delle Aree Idonee. Cade la “P” del “Potenzialmente Idonee” e si dovrà cominciare a scegliere per davvero il sito per il Deposito nazionale dei rifiuti nucleari a bassa e media attività (nota 1), tra un numero di localizzazioni che, presumibilmente, sarà di molto inferiore ai 67 siti presentati nella Cnapi.

Nell’introduzione ai lavori, il professor Massimo Scalia, presidente della Commissione scientifica sul Decommissioning, ha evidenziato due nodi cruciali per dare una soluzione condivisa a un problema rimandato da lungo tempo: la destinazione finale dei rifiuti ad alta attività (o dai tempi di dimezzamento di migliaia o milioni di anni), e il diritto delle comunità locali di recedere dagli accordi sulla costruzione del deposito anche a lavori iniziati. Dallo sviluppo del dibattito sono emerse indicazioni generali e specifiche. Di particolare rilievo l’intervento del direttore dell’Isin (Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare) Maurizio Pernice: l’Ispettorato garante della sicurezza controllerà la corrispondenza tra le aree indicate dalla Sogin nella Cnai e le osservazioni specifiche avanzate dalle comunità interessate. 

Al convegno era presente, in effetti, un convitato di pietra: la Valutazione ambientale strategica (Vas) non effettuata per la Carta dei siti potenzialmente idonei – richiesta numerose volte dalla Commissione scientifica – per la sistemazione dei rifiuti ad alta attività, per i quali prassi tecnologica e letteratura scientifica internazionale richiedono una gestione separata. La questione dell’alta attività è oggetto di una perdurante procedura d’infrazione comminata dalla Ue, in quanto il nostro Programma Nucleare Nazionale (Pnn) non dice se si vogliono fare degli accordi bilaterali con chi si doterà di un deposito geologico profondo, o se si vuole costruire con altri Paesi un deposito comune o se si vuole puntare sul futuro avvento di tecnologie alternative come il “partitiong and trasmutation”. Insomma, idee vaghe e confuse. Da qui la procedura di infrazione: «… il programma nazionale non prevede ulteriori fasi di gestione e le tappe fondamentali/limiti temporali associati allo smaltimento dei rifiuti ad alta attività e del combustibile esaurito».

Poiché un Programma nazionale non si può basare su quello che a tutt’oggi è un wishful thinking – sbolognarli all’estero – auspicato soprattutto in sede politica, e visto che non è stata abbandonata l’ipotesi di un’allocazione dell’alta attività in Italia (nota 2) – incombe tra l’altro il rientro entro il 2025 delle scorie riprocessate in Francia –, è necessaria per i rifiuti ad alta attività una guida tecnica ad hoc, analoga alla GT 29 emanata ormai parecchi anni fa per la bassa e media attività. Un prolungato contraddittorio fra il direttore Pernice e l’esponente dell’Istituto Superiore di Sanità Francesco Bochicchio ha fatto emergere che l’Ispettorato per la sicurezza nucleare provvederà a una Vas e vigilerà sulla Via (Valutazione di impatto ambientale) per l’eventuale impianto destinato all’alta attività. E si rivelerà necessaria una Guida Tecnica regolatrice, uno dei cavalli di battaglia della Commissione scientifica.

L’altro convitato di pietra, presso la Sala Cirps di Palazzo Brancaccio, era l’inattualità del Decreto legislativo 31/2010, che norma la materia, figlio del tentativo berlusconiano di rilancio del nucleare – ritornato all’onore delle cronache per la continua opera di “distrazione di massa” del ministro della Transizione ecologica Cingolani. Norme che recano le “stimmate” del “parco tecnologico”, come compensazione da offrire all’area localizzata per il Deposito nazionale e pensato soprattutto in vista di ulteriori sviluppi di nuovi impianti. Il nucleare è stato bocciato col referendum del 2011, per la seconda volta in un quarto di secolo, ma la legge è rimasta. “Via il parco tecnologico” è risuonato negli interventi degli esponenti associativi, perché alimenta un’ambiguità di fondo sulle prospettive. Le compensazioni possono deciderle le comunità interessate, in un rapporto con Regioni e Governo. 

Per il Deposito nazionale e sempre nel Decreto legislativo del 2010, si auspicano le autocandidature, ma non si definisce alcun percorso formale per farle emergere. In più, non c’è sufficiente attenzione alle garanzie per gli Enti locali che, anzi, vengono messi sotto la spada di Damocle di una scelta che può essere fatta d’autorità dal Governo nel caso in cui non si arrivi ad un accordo. Neanche la Francia, il paese nucleare per eccellenza, ha un atteggiamento così sbrigativo. Anzi, nel paese transalpino in passato era stata istituita la figura del “mediatore”, con le associazioni e direttamente con le popolazioni interessate, per la consultazione, l’esame dei pro e contro del progetto, le implicazioni economiche e le misure compensative. 

Soprattutto, a partire dal concetto di “reversibilità tecnica, si è pervenuti a quello di reversibilità politica” della scelta. Un diritto sancito in Francia da un’apposita legge. Su questo punto è emersa, però, qualche perplessità locale, nel timore che ciò comporti ulteriori ritardi in aree a rischio come, ad esempio, quella di Saluggia. E di criticità di non facile soluzione ce ne sono altre, come le barre di combustibile irraggiato, al Torio, nella piscina Itrec di Rotondella (Basilicata) o delle migliaia di metri cubi di grafite, il “moderatore” del flusso neutronico nel reattore di Latina. Sul complesso di questi temi la Commissione scientifica ha assicurato che continuerà la sua azione di vigilanza e proposta.

Sulle modifiche legislative necessarie a dar corpo al diritto di recesso, c’è ancora molto tempo per mettere a punto un articolato breve di pochi commi, un compito che sembra alla portata della più ampia maggioranza parlamentare della storia repubblicana. Serve solo la volontà politica, e in questo senso si è pronunciato Gianni Girotto, presidente della Commissione Industria del Senato, che ha già pronta una proposta di legge sull’argomento.

La vivace contrapposizione di vari interventi con la Sogin ha richiesto, alla fine, uno spazio di replica per l’ing. Francesco Troiani, responsabile del Decommissioning per la società: con poche slide ha mostrato che “eppur si muove”. Dopo le bacchettate che la Sogin ha ricevuto per anni dall’Arera (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente), come dalla Commissione scientifica stessa, a causa di “piani industriali” che consistevano in un sistematico slittamento in avanti delle opere da realizzare, le slide presentate da Troiani hanno mostrato che si è finalmente raggiunto il 45% delle attività programmate, con un balzo decisivo negli ultimissimi anni. Il tutto corroborato da foto degli interni degli impianti che mostrano un inequivocabile avanzamento dei lavori e una loro progressiva messa in sicurezza.

A conclusione del convegno, il professor Scalia ha voluto sottolineare come, «a forza di critiche e indicazioni, l’attività vigilante della Commissione scientifica ha contribuito, grazie all’apporto di Comitati e Associazioni, a disincagliare, passo dopo passo, il percorso verso il Deposito nazionale e per una sistemazione in sicurezza delle scorie radioattive». 

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NOTE 

(1) Il deposito per la bassa-media attività, il Deposito nazionale, è un deposito definitivo, che, una volta esaurito il tempo di esercizio e quello di vigilanza, non sarà più sorvegliato e il sito potrà essere ripristinato a “prato verde”. È importante scegliere bene l’ubicazione del sito perché per un periodo di 300 anni e oltre dovrà garantire la “non rilevanza radiologica”, cioè 10 microSievert all’anno come dose massima alle popolazioni. Da qui, i criteri stringenti per la localizzazione del sito.

(2) Il deposito per i rifiuti ad alta attività, ventilato più volte nelle innumerevoli conferenze sul Decommissioning degli ultimi venti anni, è invece un deposito “provvisorio” – dove provvisorio va inteso come le molte decadi necessarie per trovare una soluzione più adeguata – cioè un vero e proprio impianto nucleare nel quale le strutture di contenimento ingegneristiche dell’impianto e dei contenitori a secco, cask, delle scorie di alta attività, devono essere tenute costantemente sotto controllo. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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