L’acclamato regista tedesco all’ultimo Festival di Cannes affonda le mani nella cultura nipponica con magistrale sensibilità. Il film uscito nelle sale italiane ai primi di gennaio racconta il lavoro serio e meticoloso di un addetto alla pulizia dei bagni pubblici in una Tokyo ipertecnologica. Nella inesorabile ripetitività quotidiana dei suoi gesti, Hirayama − interpretato dalla palma d’oro Kōji Yakusho − mette in scena lo scontro/incontro tra analogico e digitale, che si risolve in un confronto generazionale con il giovane collega irrequieto e la nipote scappata da casa rifugiata da lui. E dà vita a un rapporto quasi divinizzato con la natura attraverso la cura delle sue piantine. Le ombre, le luci e gli alberi filtrati dalla sua macchina fotografica analogica diventano i coprotagonisti di una danza visiva che accompagnano lo spettatore nel mondo di Hirayama, per accogliere la luce nel quotidiano e cercare il positivo nell’ombra. L’essenza della felicità catturata dalla maestria del genio di Wenders 


◆ La recensione di GIULIA FAZIO

La locandina dell’ultimo film di Wim Wenders al cinema dal 4 gennaio

Uscito nelle sale il 4 gennaio, il film è stato presentato all’ultimo Festival di Cannes, con plauso della critica, dall’acclamato regista tedesco Wim Wenders. Kōji Yakusho, palma d’oro per la migliore interpretazione maschile, interpreta Hirayama, un addetto alla pulizia dei bagni pubblici di Tokyo che svolge il suo lavoro con estrema serietà e meticolosità. Sullo sfondo di una Tokyo ipertecnologica con bagni pubblici che sembrano opere d’arte perfettamente calate nell’architettura minimalista metropolitana, la narrazione segue la ripetitività quotidiana di un uomo “qualunque”. Le ombre, le luci e gli alberi, sono gli altri coprotagonisti di questa danza visiva che accolgono lo spettatore nel mondo di Hirayama. Si narra dell’essenzialità della vita quotidiana, del superfluo escluso e del necessario ridotto all’osso. La lettura di un libro conclude ogni sera la sua giornata prima di andare a dormire e addentrarsi nel sogno – rappresentato in bianco e nero attraverso diapositive oniriche che si sovrappongono.

Il rock anni Settanta e le voci di Lou Reed e dei The Animals sono invece lo sfondo musicale riprodotto dalle audiocassette nei viaggi in macchina, di andata e ritorno, del protagonista. Oggetto di particolare importanza per l’uomo è la macchina fotografica analogica che tiene nella tasca della tuta da lavoro, e che utilizza per scattare foto alla luce che filtra dalle foglie dagli alberi durante la pausa pranzo. Da un numero finito di foto a disposizione alla settimana, sviluppate nel giorno libero, sceglie con cura ciò che va tenuto e ciò che va strappato e gettato via. Niente accumulo, ma conservazione sistematica delle foto ben riuscite. 

Wenders affonda così le mani nella cultura nipponica, scrivendo la sceneggiatura con Takuma Takasaki, e narrando la storia di un uomo che ha deciso di vivere dell’essenziale, abbandonando lo stress della vita frenetica. Spazio centrale del racconto è la tematica dello scontro/incontro tra analogico e digitale, che si risolve anche in un confronto generazionale. Le scelte operate dal regista traducono la volontà precisa di restituire l’inesorabile reiterazione della routine. Infatti, le inquadrature del film scandiscono la ripetitività delle giornate e le differenziano, attraverso posizionamenti di camera costantemente modificati, catturando le giornate che si ripetono da angolazioni diverse. Lo spettatore è portato a vivere la quotidianità del protagonista nella sua solenne ricorsività, ma, così facendo, anche a coglierne le variabili e gli imprevisti. Hirayama osserva le persone intorno a sé e la natura che lo circonda, quasi un fantasma metropolitano che non chiede attenzione, ma osserva con rispetto. Ricorda l’angelo Gabriel che sorvolava una malinconica Berlino ne Il cielo sopra Berlino – il poetico capolavoro del regista.

Presente e passato, come nel film dell’‘87, si incrociano e si riflettono l’un l’altro. La generazione di Hirayama si scontra con quella del giovane collega irrequieto e della nipote scappata da casa che si rifugia da lui. Rilevanza necessaria è data anche alla problematica tutela e conservazione della natura. Essa viene divinizzata, poiché il protagonista ne ha cura e rispetto, evidente nella meticolosa attenzione per le sue piantine. In giapponese esiste una parola specifica per designare la luce che penetra tra le foglie degli alberi: Komorebi. La filosofia nipponica contempla un rapporto di armoniosa sintonia tra l’uomo e la natura. Bisogna, infatti, accogliere la luce nel quotidiano, saper ricercare il positivo nell’ombra, così come il cambiamento e la rinascita. Come già nelle opere precedenti, la maestria del genio di Wenders sta nel saper catturare nel suo obiettivo non solo la bellezza visiva, ma anche la natura intrinseca delle cose, l’anima di un popolo e l’essenza della felicità. Che quest’ultima si possa trovare in una canzone di Lou Reed o nella contemplazione della bellezza che risiede nel quotidiano. Io sicuramente l’ho trovata in sala. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Classe 1994. Aspirante sceneggiatrice e critica cinefila anarchica. La grande passione per la Storia e la Letteratura la portano a laurearsi in Triennale in Lettere Moderne presso l’Università degli studi di Catania con una tesi in Letterature Comparate dal titolo Jules e Jim, dal romanzo al film. Invece, per assecondare l’altra passione - il cinema - decide di laurearsi in Magistrale in Cinema, Televisione e Produzione Multimediale presso il Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell’Università degli Studi di Roma Tre. Collabora con alcuni Festival del cinema in Italia e in Canada; e svolge il ruolo di selezionatrice e giurata. La passione per la Settima Arte si affianca a quella per l’Arte e la Letteratura, e non immagina un mondo in cui la cultura muoia senza lottare.

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