Il documentario prodotto anche dalla Rai, diretto da Riccardo Milani e messo in onda il primo dell’anno, dopo qualche mese nelle sale cinematografiche propone un eccellente materiale di archivio. Ma anche un parterre di voci viventi che suscitano più di una perplessità. E la sua filastrocca “cos’è la destra, cos’è la sinistra” si allunga di un altro bel po’ post mortem
◆ Il controvento di FABIO BALOCCO
Ma il massimo del ridicolo lo si tocca con Pierluigi Bersani, colui che ha messo la sua firma sotto quei decreti che hanno permesso la liberalizzazione in Italia, dall’energia elettrica al commercio. Gaber si rivolterà nella tomba: lui che disse che «il politico deve essere il più ambiguo possibile, per garantirsi il maggior numero di adesioni» e che oramai non esisteva più destra né sinistra ma solo il Mercato, esaltato proprio da quel Bersani che al mercato aprì le porte. E che, a fronte del testo “Qualcuno era comunista” ha il coraggio di dire che in fondo il comunismo qualcosa di buono avrebbe prodotto dai tempi in cui Gaber lanciava i suoi tristi strali.
Perché, mi domando perché far parlare questi personaggi che sono l’esatto contrario del mondo di Gaber, e perché invece escludere uno come Andrea Scanzi che su Gaber ha scritto un bel libro e portato in giro per l’Italia un bello spettacolo teatrale? E comunque perché la Fondazione Gaber ha collaborato a questo documentario? Forse Milani ha ritenuto che infilarci Jovanotti, Fazio, Bersani arricchisse l’opera e più spettatori andassero al cinema? Domande che restano senza risposta. Resta la ricchezza, come dicevo, dei documenti d’archivio, e del dramma interiore che Gaber visse negli ultimi decenni della sua breve vita. © RIPRODUZIONE RISERVATA