Gentile all’ascolto, timido e poco propenso ad ‘apparire’ — le virtù più ricordate dopo la sua morte —, Benedetto XVI lo era davvero. Anche quando, nel pieno delle sue funzioni e nel coro di critiche laiche per il suo conservatorismo, veniva rappresentato in modo deformante fino all’insulto della sua immagine come ‘Dart Fener’, l’imperatore del Male nella saga di “Guerre stellari”. Ingiustamente. Il triangolo ‘fede, ragione, verità’, in cui molti hanno voluto iscrivere non a torto l’essenza del suo insegnamento, abbastanza facilmente si “linearizza” nella retta della verità assoluta da proclamare, ovvero annunciare il Vangelo in nome della razionalità. Difficile scorgere, per un occhio laico, rilevanti ‘aperture’ nel pontificato di Benedetto XVI, se non un’occasione, mancata: l’ammissione delle donne al diaconato (richiesta da varie diocesi), l’ultimo ‘gradino’ prima del sacerdozio
Il commento di MASSIMO SCALIA
CELEBRATI I SUOI FUNERALI non trascorrerà molto tempo perché il papa emerito torni in quell’ombra nella quale ha scelto, giustamente, di vivere dal momento della sua rinuncia. Prima di allora vale fare ancora qualche riflessione, con la presunzione di aggiustare qualche tiro che, all’insegna del ‘da morti sono tutti buoni’, è stato praticato da vari commentatori.
Garbato, gentile all’ascolto, timido e poco propenso ad ‘apparire’ — le virtù più ricordate dopo la sua morte —, Benedetto XVI lo era davvero. Anche quando, nel pieno delle sue funzioni e nel coro di critiche laiche per il suo conservatorismo, veniva rappresentato in modo deformante fino all’insulto della sua immagine come ‘Dart Fener’, l’imperatore del Male nella saga di “Guerre stellari”. Ingiustamente, perché era, appunto, solo un conservatore, peraltro meno clamoroso e onnipresente del suo predecessore Karol Wojtyla. Del resto, il triangolo ‘fede, ragione, verità’, in cui molti hanno voluto iscrivere non a torto l’essenza del suo insegnamento, abbastanza facilmente si “linearizza” nella retta della verità assoluta da proclamare, ovvero annunciare il Vangelo in nome della razionalità.
Non a caso Ratzinger volle colloquiare con Jan Assmann, un egittologo tedesco di grandi fama e spessore, per il suo: Monotheismus und die Sprache der Gewalt (Picus Verlag, 2006), tradotto in italiano: Non avrai altro dio. Il monoteismo e il linguaggio della violenza (Il Mulino, 2007), che può essere riduttivamente, ma non troppo, letto come un pamphlet molto ben argomentato e colto contro il monoteismo delle tre religioni fondamentali: cristiana, islamica e giudaica. E contro la violenza, implicita in quella esclusione, drammaticamente attuale dopo l’11.9.2001. In effetti, l’alternativa vero o falso — tertium non datur — che a quelle religioni può esser fatta risalire, non è il miglior terreno per almeno cercare di capirsi. L’incontro si risolse, di fatto, con l’ammettere, da parte di Assmann, che la violenza non è intrinseca al monoteismo ma deriva dall’uso politico della religione. Una distinzione logora per l’applicazione generale che se ne fa in tanti terreni — si pensi, ad es., a quella tra scienza, ‘buona’, e alcune sue applicazioni, ‘cattive’ — e francamente debole, se non impropria, sul piano epistemologico. Uno a zero per Ratzinger. Ma l’incontro fu anche prodromico, probabilmente, del tentativo di Benedetto XVI di spostare il dialogo ecumenico tra monoteismi dal terreno religioso a quello della cultura, come ‘religione universale del genere umano’ verso cui tendere senza rinunciare alla propria tradizione e specificità. Un tentativo mal condotto, anche a causa degli altri interlocutori, ma tutt’altro che banale. Un’impostazione generale che non sembra poi lontana da quella che segue Bergoglio.
Difficile scorgere, per un occhio laico, rilevanti ‘aperture’ nel pontificato di Benedetto XVI, se non un’occasione, mancata, che, anche se riguarda la Chiesa cattolica al suo interno, avrebbe conseguenze assai rilevanti sul terreno socioculturale: l’ammissione delle donne al diaconato, l’ultimo ‘gradino’ prima del sacerdozio. Si tratta non solo di rispondere alla crisi generale delle vocazioni, ma di configurare nuovi apporti e nuovo interesse da parte delle donne, nei confronti delle quali la Chiesa cattolica non è andata molto più in là, nel corso degli ultimi due millenni, di un atteggiamento che non è improprio definire “paolino” (San Paolo apostolo, si intende). Il diaconato femminile potrebbe risultare un vero e proprio boom in Africa e in America latina, ma richiamerebbe attenzione anche nel Nord del mondo. Un tema di attualità, visto che anche Papa Francesco, stando alle sue dichiarazioni, condivide la linea espressa dal suo predecessore sull’inderogabilità dal celibato ecclesiastico, come sostanzialmente normato dal Concilio Lateranense IV (1215), e sul sacerdozio femminile. Sul diaconato femminile si incentra la richiesta di varie diocesi, che dovrebbe avere risposta entro il “processo sinodale” aperto nel 2021 e che si concluderà, dopo la “fase universale”, nel 2024 (https://camminosinodale.chiesacattolica.it/sinodo-2021-2023-la-sintesi-nazionale-della-fase-diocesana/).
Un’ultima considerazione. Nella storia delle dimissioni è stata molto sottolineata la promessa, da parte del papa che rinunciava, di ubbidire al nuovo eletto, chiunque fosse. Francamente scontata, per la situazione che si sarebbe potuta creare in quello che è ormai da decenni il “Villaggio globale”. Nel merito, ci sarebbe voluto per davvero un eroe erculeo per non andarsene e resistere a quel coacervo maleodorante di corrotti e corruttori del mondo finanziario dello Ior, e, altro capitolo, ai rapporti con la Curia. Dove campeggiava una figura di potere come Tarcisio Bertone, al quale, superattici a parte, andrebbe rivolta la domanda se non ritiene singolare che la percentuale di preti del suo Ordine riconosciuti pedofili sia incredibilmente inferiore al peso numerico che l’Ordine ha. Ma nel profluvio di elogi su Ratzinger come fine teologo — onestamente, mi viene di pensare ad altri nomi contemporanei, da Congar a de Lubac, per citarne solo due, ma la Chiesa ha eletto suoi “Dottori” anche delle mezze calzette come, Dante docet, Isidoro e Beda — mi sembra che i laudatores abbiano dimenticato l’aspetto teologale della vicenda dimissioni: il disperare della salvezza, il disperare di venirne a capo, del coacervo e della Curia romana. Se non orecchio male mi pare che si tratti di uno dei peccati contro lo Spirito Santo, supposto essere invece particolarmente attento e sensibile ai problemi che affliggono la Chiesa cattolica. In effetti, sembrerebbe che si sia un po’ distratto dal suo compito, dando ragione all’uomo Ratzinger e non al teologo. Ma questa è solo una battutaccia. Recupero, professando la mia sorpresa, e anche un po’ di commozione, per l’enorme flusso di fedeli che hanno voluto dargli un ultimo saluto, a lui, da anni non più in carica e “nascosto”, magari percorrendo centinaia di km. Non credo che possano essere liquidati con un po’ snobistico: “Erano quelli che la pensavano come lui”. © RIPRODUZIONE RISERVATA