◆ L’articolo di ANNALISA ADAMO AYMONE
► A partire da settembre 2023 è cambiata la mappa dei siti Unesco in Italia, infatti diventano 59 i patrimoni italiani dell’Umanità di cui sono 5 gli habitat di tipo naturale. Dopo le Dolomiti, l’Etna, le Eolie e le Faggete vetuste dell’Appennino, anche i Gessi dell’Emilia Romagna diventano patrimonio dell’Umanità. La Vena del Gesso romagnola, i Gessi bolognesi e di Zola Predosa, le Evaporiti di San Leo e la grotta di Onferno nel riminese, l’Alta valle del Secchia e la Bassa collina reggiana entrano quindi definitivamente nella lista del World Heritage come ‘Carsismo evaporitico nelle grotte dell’Appennino settentrionale’. È stata la Federazione Speleologica della Regione Emilia Romagna a proporre i fenomeni carsici delle Evaporiti all’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, istituita a Parigi 4 novembre 1946.
Il sito, già in precedenza divenuto un Parco e che ora beneficerà di una protezione speciale, ha un’origine che risale a circa 6 milioni di anni fa. Fautore dei Gessi, autentico spettacolo della natura, è stato il Mar Mediterraneo, che nell’età geologica nota come Messiniano del Miocene, in seguito alla chiusura dello Stretto di Gibilterra, ha subito ciclici e drastici abbassamenti. Ecco anche perché i ventuno membri del Comitato del Patrimonio Mondiale (Argentina, Belgio, Bulgaria, Egitto, Etiopia, Grecia, India, Italia, Giappone, Mali, Messico, Nigeria, Oman, Qatar, Federazione Russa, Ruanda, Saint Vincent e Grenadine, Arabia Saudita, Sudafrica, Thailandia, Zambia) riunitosi fino al 25 settembre a Riyadh in Arabia Saudita non hanno avuto dubbi sul fatto che il sito costituisca «una testimonianza straordinaria dei principali periodi dell’evoluzione della terra, comprese testimonianze di vita, di processi geologici in atto nello sviluppo delle caratteristiche fisiche della superficie terrestre o di caratteristiche geomorfiche o fisiografiche significative».
Certamente gli ecosistemi non traggono da queste pratiche grandi benefici, ed il turismo non accompagnato dalla dovuta informazione e conoscenza rischia di diventare sempre più una delle principali cause di perdita di biodiversità. Governare le dinamiche che portano alla costruzione dei nuovi hotel e villaggi turistici, di infrastrutture per il trasporto e aeroporti è sempre stato uno degli aspetti più importanti nelle politiche pubbliche riguardanti i territori. Oggi però, tenuto conto dell’estremo bisogno di essere sempre più solidali con la Terra e l’urgenza di invertire la rotta anche in questo settore, si manifesta in tutta la sua portata l’assunto che non è solo la Natura ad essere “sottomessa” al turismo ma anche il turismo che è “sottomesso” alla Natura. In quest’ottica per l’economia dell’ambiente, della cultura e dei territori la salvaguardia e la valorizzazione non possono non diventare il fulcro delle politiche nazionali e locali nonché delle governance pubbliche e private.
La futura dimensione sociale dei tre principali ambiti, “cultura-ambiente-territori”, saranno il campo da gioco dell’economia legata al ‘valore’ anziché al mero ‘profitto’ attraverso lo sfruttamento senza senso delle risorse. In tale direzione anche l’alleanza sottoscritta a Montreal tra Unwto, l’organizzazione Onu del turismo mondiale, (World Travel & Tourism Council) e Sustainable Hospitality Alliance, per promuovere all’interno del settore turistico il Global Biodiversity Framework. Un accordo Onu sulla biodiversità globale che ha lo scopo di fermare la perdita di biodiversità nel settore del turismo entro il 2030. Obiettivo fondato sostanzialmente sulla sussidiarietà ad un livello ultra nazionale, visto che numerose organizzazioni (tour operator, grandi gruppi alberghieri, enti internazionali no profit ed intermediari di viaggio) hanno aderito al Global Biodiversity Framework, per la cui effettiva applicazione sarà centrale il sistema di monitoraggio e raccolta dati dell’Untwo basato non solo sull’osservatorio Insto (Rete internazionale di osservatori per il turismo sostenibile) ma anche sull’utilizzo dei dati satellitari. © RIPRODUZIONE RISERVATA